
Billy Lynn è un giovane di diciannove anni che è finito in Iraq per aver distrutto l’auto del ragazzo di sua sorella dopo che questi l’aveva lasciata in seguito ad un incidente stradale nel quale era rimasta sfigurata. Come soldato fa parte della compagnia Bravo, che durante una battaglia sul canale di An-Ansakar dimostra tutto il suo coraggio sgominando il nemico con decisione e sprezzo del pericolo. Un’azione che viene puntualmente ripresa dalle telecamere e arriva prima su Fox News e poi fa il giro del web. La squadra Bravo è ora un’icona nazionale di fede e coraggio, Billy il rappresentante per eccellenza di quell’azione eroica dai connotati epici. Gli otto sopravvissuti a quell’azione sono così i protagonisti di un tour di rappresentanza nel loro Paese, di interviste sulla tv nazionale, di una visita al presidente Bush e di tutti i rituali del caso. Incontri e onori che confluiscono nel loro ultimo giorno prima della partenza in Iraq nell’essenza dell’americanismo più convenzionale: fare nel giorno del Ringraziamento un’apparizione durante la partita dei Dallas Cowboys nel Texas. Tutti si congratulano per il loro eroismo nel luogo per eccellenza del patriottismo statunitense. Addirittura dalla loro impresa vogliono trarne un film con Hilary Swank, ma Billy Lynn sa bene che nulla è come sembra, un suo collega è morto in quell’azione e in quel momento di festa tutto per lui è fastidiosamente luccicante, nulla è reale, tanto che la guerra gli sembra una cosa più famigliare e più umana di tutto quello …
Il conflitto in Iraq è stato definito come il nuovo Vietnam, ovvero il nuovo fallimento della politica americana per l’arroganza di una guerra bugiarda fatta da bugiardi. Ormai da quell’11 settembre che ha rinverdito un dormiente patriottismo sono passati quasi dodici anni e le conseguenze sono state devastanti, il mondo occidentale vive una delle sue più gravi crisi della Storia, economica e sociale. È su questo sfondo che Ben Fountain traccia una linea precisa sul suo Paese raccontandolo dal punto di vista di un giovane disilluso. Billy osserva le ossessioni dell’apparire, della fama e del successo che si possono declinare sotto varie angolazioni, in primis attraverso la volgarità dei sentimenti sbattuti in prima pagina, la vita e la morte alla stregua di una birra e una partita di football. Fountain per questo suo primo romanzo, dopo una raccolta di racconti edita da Spartaco, Fugaci incontri con Che Guevara, ha ricevuto notevoli encomi e recensioni nonché la candidatura al National Book Award. Lo scrittore - classe 1958, non certo un giovanissimo - costruisce un’opera crudelmente sardonica nela quale l’ironia è affidata al pensiero di un protagonista solo in apparenza ingenuo perché al tempo stesso consapevole delle ipocrisie di una società barbara, composta di moralità ribaltata e moralismi biechi. Non è un caso che l’autore scelga proprio il Giorno del Ringraziamento e il football come sfondo della presa di coscienza di un giovane soldato. Un libro di guerra ambientato lontano dai suoi fondali di fango e campi di ricognizioni, ma proprio nel cuore di un’America che abbiamo imparato fin troppo bene a conoscere e che è stata a lungo negli ultimi anni oggetto di analisi psicologica e sociale a cui Fountain deve molto, non solo ai classici della letteratura che ironizzano proprio su quei conflitti costruiti a tavolino dal governo americano, quei romanzi di Kurt Vonnegut jr. e Joseph Heller (Comma 22 e Mattatoio n. 5 sono infatti i fantasmi letterari con i quali fare i conti per stile, espressione, temi, ironia crudele), ma anche da quella cultura massificata del cinema e della televisione a cui lo scrittore fa più volte riferimento nel suo romanzo. A tal proposito merita quantomeno una citazione una splendida serie tv sul football ambientata nella provincia texana che è "Friday Night Lights", a sua volta remake di un film con Billy Bob Thornton, a sua volta adattamento di un libro di Buzz Bissinger. Se la scrittura americana nella sua forma postmoderna è diventata un riuso continuo è anche vero che gli esseri umani ciclicamente commettono sempre gli stessi errori. Sembra quindi che Ben Fountain non ci dica nulla di nuovo sul suo Paese, ma il suo scopo non è questo quanto fotografare perfettamente le evoluzioni e le involuzioni sociali odierne, aggiornare i meccanismi dei suoi rituali, impaginare i nuovi tic, le nuove violenze psicologiche, le nuove e più luccicanti follie. Ma se è vero che le generazioni attuali sono meno politicizzate, non lottano per un mondo migliore e assistono impassibili all’abuso di terzi nei loro confronti, che sbrindellano il loro futuro, è anche vero che la loro ingenuità l’hanno messa da parte da molto tempo per fare spazio ad un cinismo e ad una consapevolezza che dovrebbe lasciar riflettere e rabbrividire molto di più. Perché ciò vuol dire che il governo non ha solo distrutto i loro sogni come è stato nel Vietnam, ma ha proprio distrutto la loro mente, il loro modo di pensare. In tal senso gli anni di Bush sono andati molto più a fondo di quelli di Johnson e Nixon. Questo è il vero messaggio che l’autore vuole lasciarci. L’aberrante circo equestre che passa davanti agli occhi di Billy Lynn è in fondo un rituale approvato che si ripete in tutta la sua stomachevole demenza e lui resta lì fermo e immobile a disprezzare quell’osceno spettacolo, senza fare assolutamente nulla. Perché Billy nella sua mancanza di ingenuità è talmente cinico che a 19 anni ha già smesso di lottare, accetta il suo destino di dannato con rassegnazione, non combatte come i giovani degli anni del Vietnam rifiutando l’ordine imperante, lo accetta sapendo bene di essere carne da macello, che di lui non importa niente a nessuno, men che meno a se stesso.
Il conflitto in Iraq è stato definito come il nuovo Vietnam, ovvero il nuovo fallimento della politica americana per l’arroganza di una guerra bugiarda fatta da bugiardi. Ormai da quell’11 settembre che ha rinverdito un dormiente patriottismo sono passati quasi dodici anni e le conseguenze sono state devastanti, il mondo occidentale vive una delle sue più gravi crisi della Storia, economica e sociale. È su questo sfondo che Ben Fountain traccia una linea precisa sul suo Paese raccontandolo dal punto di vista di un giovane disilluso. Billy osserva le ossessioni dell’apparire, della fama e del successo che si possono declinare sotto varie angolazioni, in primis attraverso la volgarità dei sentimenti sbattuti in prima pagina, la vita e la morte alla stregua di una birra e una partita di football. Fountain per questo suo primo romanzo, dopo una raccolta di racconti edita da Spartaco, Fugaci incontri con Che Guevara, ha ricevuto notevoli encomi e recensioni nonché la candidatura al National Book Award. Lo scrittore - classe 1958, non certo un giovanissimo - costruisce un’opera crudelmente sardonica nela quale l’ironia è affidata al pensiero di un protagonista solo in apparenza ingenuo perché al tempo stesso consapevole delle ipocrisie di una società barbara, composta di moralità ribaltata e moralismi biechi. Non è un caso che l’autore scelga proprio il Giorno del Ringraziamento e il football come sfondo della presa di coscienza di un giovane soldato. Un libro di guerra ambientato lontano dai suoi fondali di fango e campi di ricognizioni, ma proprio nel cuore di un’America che abbiamo imparato fin troppo bene a conoscere e che è stata a lungo negli ultimi anni oggetto di analisi psicologica e sociale a cui Fountain deve molto, non solo ai classici della letteratura che ironizzano proprio su quei conflitti costruiti a tavolino dal governo americano, quei romanzi di Kurt Vonnegut jr. e Joseph Heller (Comma 22 e Mattatoio n. 5 sono infatti i fantasmi letterari con i quali fare i conti per stile, espressione, temi, ironia crudele), ma anche da quella cultura massificata del cinema e della televisione a cui lo scrittore fa più volte riferimento nel suo romanzo. A tal proposito merita quantomeno una citazione una splendida serie tv sul football ambientata nella provincia texana che è "Friday Night Lights", a sua volta remake di un film con Billy Bob Thornton, a sua volta adattamento di un libro di Buzz Bissinger. Se la scrittura americana nella sua forma postmoderna è diventata un riuso continuo è anche vero che gli esseri umani ciclicamente commettono sempre gli stessi errori. Sembra quindi che Ben Fountain non ci dica nulla di nuovo sul suo Paese, ma il suo scopo non è questo quanto fotografare perfettamente le evoluzioni e le involuzioni sociali odierne, aggiornare i meccanismi dei suoi rituali, impaginare i nuovi tic, le nuove violenze psicologiche, le nuove e più luccicanti follie. Ma se è vero che le generazioni attuali sono meno politicizzate, non lottano per un mondo migliore e assistono impassibili all’abuso di terzi nei loro confronti, che sbrindellano il loro futuro, è anche vero che la loro ingenuità l’hanno messa da parte da molto tempo per fare spazio ad un cinismo e ad una consapevolezza che dovrebbe lasciar riflettere e rabbrividire molto di più. Perché ciò vuol dire che il governo non ha solo distrutto i loro sogni come è stato nel Vietnam, ma ha proprio distrutto la loro mente, il loro modo di pensare. In tal senso gli anni di Bush sono andati molto più a fondo di quelli di Johnson e Nixon. Questo è il vero messaggio che l’autore vuole lasciarci. L’aberrante circo equestre che passa davanti agli occhi di Billy Lynn è in fondo un rituale approvato che si ripete in tutta la sua stomachevole demenza e lui resta lì fermo e immobile a disprezzare quell’osceno spettacolo, senza fare assolutamente nulla. Perché Billy nella sua mancanza di ingenuità è talmente cinico che a 19 anni ha già smesso di lottare, accetta il suo destino di dannato con rassegnazione, non combatte come i giovani degli anni del Vietnam rifiutando l’ordine imperante, lo accetta sapendo bene di essere carne da macello, che di lui non importa niente a nessuno, men che meno a se stesso.