
Claudia raggiunge l’ospedale trafelata. Non è orario di visita ma, quando gli comunica chi è e chi sta cercando, l’uomo in divisa esce dalla guardiola e le indica la strada. Ha la camicia incollata alla pelle e le sue braccia sono percorse da uno strano formicolio. Teme di perdersi tra le corsie e i corridoi, ma riesce ad arrivare al reparto senza perdersi. Aiutata da un infermiere indossa un camice verde e una cuffia e calza i copriscarpe. Viene condotta in una grande stanza con le tapparelle abbassate: suo marito Antonio è steso sopra il lenzuolo di uno dei quattro letti della camera; ha gli occhi chiusi e la pelle livida; un tubo, collegato a un respiratore, gli esce da un angolo della bocca e un fitto intreccio di altri piccoli tubi tengono monitorate tutte le sue funzioni vitali. Quando il dottore le si avvicina e la invita a seguirlo nel suo ufficio, Claudia si rende conto di aver pensato sino a quel momento a ciò che è accaduto. Suo marito si trovava a casa, sull’ultimo gradino di una scala appoggiata a un albero. L’uomo ha cominciato a oscillare, ha cercato un appiglio tra i rami del melograno e, mentre i rami si spezzavano, è caduto a terra. La scala non era alta, Ma Antonio è rimasto a terra e non ha ripreso conoscenza. Quando gli addetti del soccorso lo hanno legato alla barella e caricato sull’ambulanza, Claudia non è salita, ma è rientrata in casa e ha cominciato a riordinare. E ora si trova lì, di fronte al dottor Martini che le spiega che il marito ha avuto un infarto ed è stato sottoposto a un intervento di angioplastica. L’operazione è riuscita, ma un pezzo di cuore non tornerà più a funzionare. Martini le fa notare anche che l’uomo è stato soccorso in ritardo. Claudia vorrebbe rispondere che non è vero, che non c’è stato alcun ritardo. Ma si sente stanca e l’unica cosa che riesce a chiedere è se il marito si salverà...
Una donna capace di pesare ogni parola che pronuncia e ogni sentimento che prova. Un uomo carico di carisma, esuberante e piuttosto celebre. Una famiglia, forse, come tante; una coppia che si è amata a lungo e che ora sta imparando a odiarsi, trasformando il loro amore in una miccia pronta a far esplodere da un momento all’altro tutto ciò che fino a quell’istante i due hanno costruito. Barbara Frandino - produttrice, autrice di programmi radiofonici, sceneggiatrice e giornalista - propone al lettore un romanzo duro, uno spaccato di vita che fotografa il tentativo di salvare una situazione che, forse, è senza speranze. Un matrimonio ferito che si trasforma in un campo di battaglia in cui i coniugi si scontrano senza esclusione di colpi, tra vendette, odio e rabbia. Un rapporto in cui, nel tempo, i silenzi e le carezze regalate senza convinzione creano solchi profondi, perché è nei piccoli particolari che si annida il dolore più difficile da accettare. Ed è inevitabile chiedersi, leggendo, come sia possibile, dopo tanti anni di vita condivisa, diventare due sconosciuti e provare tanto astio e risentimento per il partner. E ci si chiede ancora se abbia senso cercare di rimettere insieme i tasselli di un vivere comune, tentare di ricucire parti di cuore colpite da un profondo dolore e segnate dalla delusione e dall’offesa. La Frandino riesce, fotografando una vita di coppia in modo essenziale e oggettivo, a raccontare la complessità dei sentimenti umani e le complicanze dell’amore, mostrando un castello di carte che si sgretola - e che nasconde un sorprendente segreto che viene svelato solo verso il termine della narrazione - e che rivela la più temibile delle armi, l’indifferenza. Il tentativo di ammorbidire la brutalità dei ricordi e l’incapacità di chiedere scusa - appannaggio maschile nel romanzo -, insieme alla consapevolezza che solo il coraggio di accettarsi può far sì che un matrimonio che sta per finire non finisca, sono raccontate in un flusso di coscienza che si snoda lungo le pagine di un romanzo profondo e molto, molto interessante.