
Il 20 settembre 1870 l’ingresso dei bersaglieri del regio esercito sabaudo a Roma attraverso la breccia di Porta Pia segnò per gli oltre quattromila ebrei che vivevano nel Ghetto una data felice, l’inizio di una nuova era di emancipazione e libertà. La struttura sociale della comunità, nella quale numerosi erano gli indigenti, venne rivista e riorganizzata. In questo fervore di novità, importante fu l’attenzione riservata all’educazione della prima infanzia. Già pochissimi anni dopo il compimento dell’unità nazionale e la proclamazione di Roma capitale, infatti, alla chiusura dell’anno scolastico 1874/75, gli asili infantili israelitici, ormai liberi di presentare pubblicamenti i risultati conseguiti dal lavoro svolto in classe, celebrarono al Teatro Argentina, “gentilmente concesso dal Municipio”, la cerimonia di premiazione delle piccole alunne e dei piccoli alunni. La “Gazzetta Ufficiale del Regno” del 2 novembre 1875 notava come questo traguardo fosse divenuto “possibile solamente quando, restituita Roma all’Italia, i diseredati israelitici divennero cittadini italiani”. Mentre nel periodo precedente nel ghetto esistevano due asili distinti, uno per i maschietti e l’altro per le bambine, a partire dal 1870 si costituì un’unica scuola, lavorando per realizzare un’organizzazione funzionale, con maestre preparate, una sede dignitosa e, soprattutto, adottando un percorso educativo ispirato alla crescita globale della persona e non più principalmente all’assistenza. Fu scelto l’indirizzo pedagogico froebeliano, ai tempi tra i più avanzati, in quanto mirava alla crescita armonica “delle facoltà fisiche, morali e intellettuali dei fanciulli” educandoli “all’affetto, all’attività laboriosa, all’attenta osservazione”. Fu un lavoro lento che durò decenni fino a quando, dopo diversi spostamenti di sede, si giunse nel 1913 ad inaugurare sul Lungotevere Sanzio una palazzina moderna e funzionale, dedicata totalmente agli asili infantili. Questi ultimi superarono le difficoltà dovute al periodo della prima guerra mondiale attuando numerose iniziative di accoglienza e assistenza di tutti i bambini e in particolare dei figli dei richiamati al servizio militare, senza distinzione di culto. Poi, dopo l’avvento del fascismo, l’orizzonte tornò gradualmente a rabbuiarsi sempre più fino all’emanazione delle leggi razziali del 1938, che esclusero gli ebrei da tutte le scuole di ogni ordine e grado. E fu solo il primo momento di una tragica persecuzione…
Giovanna Alatri, pedagogista, è stata insegnante montessoriana ed ha al suo attivo numerosi articoli e saggi su aspetti diversi di storia dell’educazione. Avendo sposato un Alatri, pronipote di quel Samuele che fu per decenni presidente della comunità ebraica nei primi anni dell’Unità e successivi, assumendo inoltre incarichi politici nel Comune di Roma e in Parlamento, ha potuto effettuare questa ricerca non solo arricchendola di una documentazione ricca e puntuale, ma anche di quella passione che contraddistingue le storie di famiglia vissute a fondo. Il saggio è preceduto dalla prefazione di Riccardo Di Segni, medico e rabbino capo della comunità ebraica romana, e dall’introduzione storica di Paolo Mieli, notissimo giornalista e saggista. Scrive Mieli: “La Roma che fa da sfondo a questo interessante libro di Giovanna Alatri sugli asili israelitici è quella di Pio IX” e ricorda che in questo pontefice gli ebrei romani, così come i patrioti del Risorgimento, riposero dapprima speranze di cambiamento. Speranze però destinate miseramente a cadere dopo la prima guerra di indipendenza, quando il papa abbandonò del tutto la causa risorgimentale. Samuele Alatri riuscì tuttavia a mantenere un filo di rapporto con il papa-re e proprio grazie a questo pur esile collegamento, ricorda Mieli, poterono essere istituiti i primi Asili israelitici.