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El niño del balcón

El niño del balcón

“È chiaro che in città non si può parlar bene del Real, le merengues tanto care al Generalissimo, si rischia l’incolumità fisica. Il Barcellona Fùtbol Club rappresenta l’esercito simbolico, disarmato ma imponente, della catalanità: il pubblico adorerebbe i suoi azulgrana anche se ci giocassero undici molucchesi”. Così Manuel Vázquez Montalbán in Barcelonas. Originariamente però il nemico prediletto è l’Espanyol, l’altra squadra della città, che ha scelto proprio quel nome per dimostrare di essere formata solo da cattolici, ossia da spagnoli. Un’anonima poesia degli anni Cinquanta rende bene l’idea di questa rivalità: “Cos’è che splende più del sol? / Le cinque coppe del Barcellona e la merda dell’Espanyol”. Solo più tardi il nemico diventa il Real Madrid, la squadra del governo centrale, amatissima da Franco, che si dice conoscesse tutte le formazioni a memoria. In verità il Generalissimo non è mai stato un gran tifoso, anche se ha preferito sempre il calcio alla corrida. Nonostante le sue simpatie massoniche ha amato però Juan Belmonte, insieme a Joselito el Gallo, uno dei due giganti della classicità torera, e per un periodo ha frequentato Luis Dominguín, di certo prima che il torero diventi amico di Picasso…

Manuel Vázquez Montalbán è senza ombra di dubbio il cantore della Barcellona del Novecento, la città anarchica, repubblicana, separatista: appartiene a quella stirpe di autori che hanno saputo e sanno raccontare sinteticamente ma al tempo stesso nel dettaglio, generando molteplici suggestioni, l’anima di un luogo, reale o fittizio che sia, ambientandovi le loro storie, in cui spesso ricorrono come protagonisti i loro personaggi più amati e riusciti. E la località, lo spazio urbano, si fa dunque personaggio, vive delle persone che la abitano, dei colori che la dipingono, dei sapori, degli odori, delle vicende che vi prendono luogo, è specchio dei sentimenti, simbolo e incarnazione di certe caratteristiche che identificano la comunità: così è la Parigi di Simenon, la Vigata di Montalbano (che all’autore, figlio di quella Catalogna che ancora oggi rappresenta una collettività fortemente caratterizzata dal punto di vista economico, sociale, culturale, politico, cosmopolita, più rivolta verso l’esterno che non a Madrid e alle sue istituzioni prima dittatoriali e poi monarchiche, deve il nome), la Atene di Markaris. Il saggio di Giuliano Malatesta, giornalista e dottore in sociologia, è approfondito, ricchissimo di dettagli, avvincente come un romanzo, scritto in maniera semplice e divulgativa e con un lessico chiaro e significativo.