
Anno del Signore 1558. Il corpo di sua sorella Maria è ancora caldo il 17 novembre quando lei – Elisabetta – sale sul trono d’Inghilterra. Figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, non perde tempo né per restaurare la memoria di sua madre (morta accusata delle peggiori nefandezze), né per sostenere un minuto in più il cattolicesimo di facciata che ha mantenuto per anni assicurandosi che sua sorella non la escludesse dalla linea di successione. Neanche il giuramento fattole in punto di morte ha un reale peso per Elisabetta. I suoi anni alla corte di Maria non sono stati vani per Elisabetta, ha sviluppato le doti tipiche del politico: l’inganno, la simulazione e la segretezza. Educata come una principessa, non appena è stato chiaro che Maria non avrebbe mai dato alla luce un erede non ha perso tempo nel crearsi una piccola corte privata, con tanto di segretari e messaggeri. Si è circondata di persone del calibro di William Cecil, Nicholas Bacon, Thomas Gresham: uomini estremamente abili e protestanti. Una scelta non solo di fede (quella della sua infanzia e di suo padre) ma anche – e soprattutto – politica. In fin dei conti, è pur sempre una figlia illegittima di un re adultero. A sua sorella Maria deve soprattutto l’essersi resa conto che “una donna è in sé capace di governare”, senza dover per forza incarnare solo il ruolo di regina consorte; e non è un caso che il motto scelto da regnante sia “Semper eadem”: sempre uguale a sé stessa. Ovvero, se tutto deve cambiare, tutto deve restare uguale...
“Elisabetta, detta ‘la Grande’, alla quale invece, forse più propriamente calza l’appellativo di ‘Sanguinaria’, nomignolo che la storiografia dei vincitori ha ingiustamente apposto accanto al nome della sorella ‘papista’ che la precedette al trono”. È così che Elisabetta Sala, storica e scrittrice, tratteggia Elisabetta I nel saggio storico a lei dedicato Elisabetta la Sanguinaria. La creazione di un mito, la persecuzione di un popolo. La Sala ripercorre il regno della sovrana di Inghilterra analizzando e portando in auge le numerose contraddizioni del suo regno, prima fra tutte l’accettazione quasi “senza colpo ferire” del Protestantesimo come religione ufficiale. Il quadro storico parte dal regno di Edoardo per poi passare a quello di Maria I e infine giungere a quello di Elisabetta, durato dal 1558 sino al 1603, anno della sua morte. Grande attenzione viene posta sull’aspetto religioso e segnato, nel 1559, dall’approvazione del cosiddetto Atto di Uniformità che rendeva obbligatoria l’adozione del Book of Common Prayer. Un libro che, rispetto agli altri della stessa autrice, si attesta su un impianto più canonico, se si pensa a un saggio storico. Nonostante la lettura proceda un po’ meno spedita rispetto, per esempio, al saggio dedicato alla figura di Enrico VIII (L’ira del re è morte), la ricchezza di fonti a sostegno della lettura permette al lettore di avere uno sguardo e una consapevolezza nuova rispetto a episodi dati per scontati. Un libro che ripercorre con puntualità una delle pagine più intense della storia inglese e che merita senza dubbio di esser letto.