
È difficile orientarsi nella smisurata mole di materiale lasciata in eredità da Ennio Flaiano (Pescara 5 marzo 1910 – Roma 20 novembre 1972), tra pubblicazioni in vita e postume e appunti di studio sul cinema e la letteratura. È indispensabile fare un’attenta selezione, estrapolare temi centrali per la formazione artistica e civile del personaggio e limitarsi a questi ambiti. L’eredità dello scrittore è stata raccolta in buona parte nella fondazione intitolata a Luisa Flaiano, che ha sede a Lugano, dedicata agli articoli di carattere cinematografico e all’epistolario. Criticato spesso per non svolgere un’attività intellettuale costante, anche a un primo avvicinamento al fondo ci si rende immediatamente conto che tale accusa è ingiustificata. Soggetti e sceneggiature scritti per sé stesso e per i collaboratori, interventi su riviste e articoli di giornali, studi sulla televisione e sul cinema che si estendono all’analisi della complessità del tessuto sociale. Ma è tramite l’epistolario che si ha la possibilità di conoscere più a fondo Flaiano, non solo come autore ma anche come uomo. Dalle prime corrispondenze intrattenute con i pochi intellettuali a lui legati da solida amicizia, all’instaurarsi di una rete di contatti attraverso cui comunicare il giudizio aspro e disincantato verso una società superficiale, inutilmente attaccata al denaro. Da queste pagine emerge “Ennio l’alieno”, distante dal sentire comune e pronto a una critica pungente nei confronti della superficialità. Eppure è lui stesso a sostenere di essere a volte attratto dalle produzioni cinematografiche di piccole pretese, ma solo perché non rischia di tradire la propria dignità letteraria: con un film d’autore è necessario mantenere un livello espressivo e figurativo elevato, serve una grande serietà che Flaiano difficilmente riscontra nelle condizioni in cui un autore deve lavorare. A Clelia Bellocchio nel 1954 scrive di aver trovato un posto di redattore capo in un giornale, ma quando ha capito che questa sistemazione avrebbe frenato la sua creatività “…ho lasciato il posto e mi sono rimesso a lavorare da capo. Io odio i finali che si possono indovinare.” Non teme l’invidia e la disonestà, anche se lo ripudiano, per accusarle usa un paragone letterario nella risposta indirizzata a Cesare Zavattini del 1956: dire che un autore è spiritoso può essere riduttivo della sua opera, dipende da qual è il contesto in cui lo si afferma “Per esempio, Moravia dice che Gadda (che se lo mangia dodici volte) è un grande umorista, per escluderlo, non per elogiarlo.” Nella lettera scritta lo stesso anno a Giambattista Vicari emerge il suo dissenso per una società superficiale e venale “Tutto diventa materia di esibizione e di rotocalco. Tutto viene preso sul serio in questo benedetto paese eccetto le cose serie. Siamo circondati da geni arrivisti, da gente disposta a tutto, che non si annoia, che non vede il ridicolo e la malinconia delle proprie azioni”…
Lo stile di scrittura di questo volume è scorrevole, il testo si legge con facilità, il saggio diverte ed è denso di importanti insegnamenti, anche perché è inevitabile appassionarsi alla storia di Ennio Flaiano, nell’eclettica evoluzione del suo pensiero. La tecnica narrativa di Minore e Pansa è molto simile allo stile che contraddistingueva l’autore di cui ricostruiscono la vita: essenziale, senza mai scadere nell’eccesso o nel superfluo, evitando però di tralasciare ogni aspetto importante. Una scrittura giornalistica elevata allo stile letterario, come per l’appunto ha fatto lo stesso Flaiano, critico formatosi sulla rivista “Il mondo” di Mario Pannunzio, che ha sentito la necessità di andare oltre il giornalismo culturale, di cimentarsi nella realizzazione delle opere letterarie e cinematografiche, perché non poteva limitarsi a giudicarle. Ma in lui è rimasta la tecnica del giornalista, essenziale e puntuale – anche se nei suoi articoli Flaiano era spesso propenso a estendere i temi delle opere da lui recensite a problematiche di largo interesse sociale – e con il tempo per alcuni questo suo stile ha determinato l’allontanamento dalla letteratura, dopo il successo del primo romanzo Tempo di uccidere. Non concepiva la necessità di aggiungere scene superflue solo per divertire il lettore. Minore e Pansa lavorano in modo simile: toccano i momenti della vita intellettuale e privata di Flaiano, andando agli eventi e alle riflessioni essenziali, niente sovrappiù. Il saggio descrive la fanciullezza e l’adolescenza dello scrittore, la sua posizione in famiglia di settimo e ultimo figlio e la continua sensazione di non essere accettato; la partenza per Roma e la decisione di bistrattare l’università per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura; la tragedia della disabilità della figlia Le Le, che lo costringerà a dedicarsi al cinema – di cui, però, riconosceva a pieno merito le potenzialità – per avere i soldi per curarla; il successo letterario inaspettato alle prime armi e la creatività da subito rivelata come sceneggiatore cinematografico. Alla base del lavoro dei due autori c’è la volontà di attribuire a Ennio Flaiano il riconoscimento che merita per l’arguzia e l’inesauribile fantasia, ma anche per la sua dignità, consapevoli che per troppo tempo le sue doti sono rimaste in secondo piano a causa del giudizio non del tutto lusinghiero, che lo ha perseguitato anche dopo la morte. Erroneamente per molti lo scrittore sarebbe stato eccessivo nel suo volersi cimentare in vari generi, finendo spesso per concedersi pause ingiustificate dal suo dovere di intellettuale attivo e non da salotto o frequentatore di caffè. Di origine pescarese, Flaiano ha scritto per le maggiori testate giornalistiche italiane, tra cui Oggi e il Corriere della Sera. Nella sua attività cinematografica emerge la collaborazione alla realizzazione delle sceneggiature di alcuni capolavori di Vittorio De Sica e Federico Fellini – I vitelloni, La dolce vita, Ladri di biciclette e Otto e mezzo sono solo alcuni titoli -, mentre per il teatro ha messo in scena Un marziano a Roma, opera che non ha trovato la piena approvazione della critica. Con il romanzo ambientato negli anni della guerra in Etiopia Tempo di uccidere ha vinto la prima edizione del premio Strega. È morto il 20 novembre del 1972 per causa di un infarto, riposa con i suoi cari a Maccarese, nel comune di Fiumicino.