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Epistole e favole

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Cinque anni dopo un primo Natale ad Ustica vissuto da confinato, Antonio Gramsci, al momento ancora in carcere, sente il peso dell’abbrutimento di quegli anni trascorsi a vivere isolato dal mondo a causa delle sue idee politiche. Ha perso il sorriso e la spensieratezza degli anni della gioventù, ha perso quell’ingenuità e quell’entusiasmo giovanile, ma non se la passa male: ha voglia di leggere, ha voglia di organizzare le sue conoscenze, ha voglia di continuare il suo progetto politico, ma ha anche una fortissima voglia di vivere e di conoscere tutto dei propri figli, della moglie e di sua madre, abbandonate forzatamente anni prima. Non riesce a percepire a pieno lo scorrere della vita e più volte esprime il suo rammarico per non essere al loro fianco e aiutarli, tuttavia non si lascia mai andare ad un lamento, ad una recriminazione. Il peggio è la noia di dover trascorrere le giornate tutte uguali, tutte con la stessa asfissiante routine quotidiana. Ma Gramsci si sente ancora vivo, è mosso dalla solita curiosità di sempre di apprendere informazioni, di conoscere la vita, per questo si fa forza e ripercorre la sua adolescenza raccontandola ai suoi figli lontani: racconta di come allevava ed addomesticava uccelli, serpenti, lucertole e ricci; racconta degli anni nella scuola lontana, delle prime esperienze di scuola, dei suoi sogni di diventare carrettiere o usciere della Pretura. E soprattutto chiede, chiede in continuazione ai suoi figli, alla moglie, di aggiornarlo, di tenerlo al corrente, di sfamare la sua curiosità di vivere, senza la quale tutto finirebbe…

A noi che siamo abituati a leggere il Gramsci ‘serio’ dei Quaderni del carcere, la lettura delle lettere indirizzate durante gli anni di prigionia alla moglie, ai figli ed all’amica Tania, raccolte sotto l’etichetta de L’albero del riccio e la contestuale lettura delle Favole di libertà permettono di cogliere un profilo più umano e familiare, più intimo, lontano dal bonario cipiglio con il quale viene spesso raffigurato. Sono molto spesso le lettere di un padre che si occupa dell’educazione dei figli a distanza, impartendo loro rimproveri e consigli, pungolandoli a fare sempre di più e bene, suggerendo letture e lavoretti da fare per la scuola e per casa. Un dialogo a distanza che permette a Gramsci di mantenere i contatti con la sua vita familiare. A volte può sembrare strano, perfino sgradevole, leggere i rigidi biasimi che il padre impartisce ai suoi figli, dai quali è ‘colpevolmente’ distante: ritengo però che sia l’atteggiamento giusto e corretto, quello di non cedere a nessuna indulgenza, ma di fingere, per quanto possibile, di vivere una normalità familiare che il carcere cancella. Accompagna ai rimproveri le affettuose narrazioni delle favole, gli abbracci lontani, le raccomandazioni di prendersi cura della madre e dei familiari. I testi, un classico della pedagogia democratica, sono ripubblicati per la curatela di Fabiana Caserta: la veste grafica è essenziale, così come lo è l’apparato di note e commenti. Paga la scelta di austerità che mira a valorizzare il senso dell’essenzialità del prodotto umano, prima ancora che letterario (abbastanza modesto).