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Esimdé

Esimdé

Tappe sparse lungo un itinerario immaginario che va dal Danubio alla penisola del Kamchatka; incespicando sugli Urali, scivolando verso l’intricato Caucaso, e poi sospinto dal vento verso i mari d’erba riarsa del Kazakistan, sorvolando sullo specchio d’acqua salata del lago Ysyk-kol in Kirghizistan, scontrandosi infine sul massiccio del monte Khan Tengri. Città dai nomi conosciuti o letti almeno di tanto in tanto sui giornali quali Baku, Yerevan, Grozny, Tiblisi; e altre dai nomi che, con ogni probabilità, raramente hanno scalfito i nostri timpani: Gyumri, Bishkek, Arcangelo, Druzhinino, la Calmucchia, Tomsk, Karaganda e l’acciaieria di Temirtau, un’Ilva di Taranto nel cuore del Kazakhistan. Ognuno di questi posti è il prodotto di un lento rimescolamento d’opera umana e geografia, storia e movimento costante e invisibile di placche tettoniche in guerra l’una con l’altra. La storia e il corpo fisico dei luoghi, infine, si distillano e sublimano nei volti delle donne, nel loro quotidiano sognare e fare, nei gesti, nelle scelte per cui si finisce a sposare un uomo e non un altro, a desiderare un futuro e non un altro. Destini appoggiati su città quasi-visibili, così vicine al polo terrestre da spiccare salti e vagare per qualche istante nell’universo, così sperdute nel mare di terra chiamato Siberia da perdere continuamente il riferimento dei punti cardinali, per ritrovarlo poi esilmente agganciato al tratteggio dritto e infinito di una linea ferroviaria...

Sono quattro viaggi geopoetici quelli offerti da Christian Eccher in questo breve ma intenso libriccino. Reportage mai appiattiti sul piano cronachistico, né su quello storico o geopolitico, bensì reportage multidisciplinari, attenti a collegare la geologia e la letteratura, la meteorologia e la politica, la storia economica e l’antropologia. Così, mentre apparentemente nulla accade nel meriggio dei venditori di frutta lungo la strada fra Tiblisi e l’Armenia, l’autore ci porta nel cuore della battaglia fra placche tettoniche che ha dato vita al Caucaso e alle Alpi, scorgendo il ribollire della vita anche sotto quella superficiale patina d’immobilità. Mentre a Yerevan si fa sempre più difficile scindere propaganda e realtà, il vento freddo scende ogni sera dalla cima dell’Aragat a sollevare le gonne delle ragazze e a lanciare ignare foglie secche al di là del confine del nemico turco. Il destino degli uomini, ci mostra l’autore, è in mano anche ad elementi di cui essi, quotidianamente, ignorano l’esistenza o sottostimano l’importanza. Le città e i luoghi sono sempre concretissimi nel destino d’ognuno, ma anche, con sguardo a la Calvino, “invisibili”, inafferrabili, momenti sospesi in un peculiare punto di intersezione fra tempo e spazio, e sempre transeunti. Una poesia, un nascosto ritmo metrico-sillabico sottende alle manifestazioni del complicato intruglio di relazioni fra uomo, storia, luoghi geografici, microclimi, paesaggi. Asia Centrale, Caucaso, Siberia, Balcani. Spazi liminali, in senso geografico e storico. Ai confini di un territorio travagliato da un complicato sentimento di rigetto e nostalgia verso il disegno sovietico e proteso verso un futuro ancora incerto. La foto è di Christian Eccher.