
Giovane redattrice nella città dove tutto si muove: New York. Da brava millenial, i suoi profili social sono attivi e aggiornati. Con gli amici intrattiene conversazioni perfettamente dosate tra la non – banalità e la non – profondità. Quello con il fidanzato Felix è un approccio non diverso da quello adottato per le amicizie. È proprio quando scopre che lui, giovane e finto dandy amante dell’arte e dell’anticonformismo, possiede in realtà un profilo social molto seguito su teorie di cospirazione che la vita della protagonista subisce un irrefrenabile cambio di prospettiva. Durante la skincare serale, in procinto di terminare la sacra doppia detersione voluta dal metodo coreano, prende la scelta di lasciarlo. Non c’è alternativa: il suo fidanzato è un fake. Eppure, ne ha davvero voglia? Prendersi la briga di discutere, magari piangere, sbraitare, doverlo condividere sulle storie di Instagram e poi scrivere il doveroso stato su Facebook. È così estenuante abitare il mondo in maniera perfetta. Nel tentativo di prendere tempo e innescare gelosie nel fidanzato che ha già deciso di scaricare, decide di partecipare con un amico alla Women’s March a Washington DC. Ovviamente, prima di abbracciare la causa femminista, è importante condividere di averne preso parte. È durante questa giornata all’insegna della protesta che la vita le fa lo sgambetto, sbattendole in faccia una notizia che le riserverà la sfida più grande: prendere una posizione. La risposta socialmente comprensibile ad un trauma è che la persona che lo ha subito faccia qualcosa. Magari tingere i capelli, fare yoga, diventare vegana. Qualcosa che dimostri agli altri che si stanno provando dei sentimenti. Non importa che essi vengano sentiti davvero. In tutta la sua apatia si trasferisce a Berlino, dividendosi tra lavori per i quali non ha minimamente esperienza, l’ufficio per la richiesta del visto e gli appuntamenti a cena rimediati su OkCupid. È così che mette in pratica la competenza imparata sul campo della vita quotidiana: ingannare il prossimo, creando nuove e fasulle versioni di sé stessa. Personalità credibili proprio per il loro essere inventate...
Lauren Oyler è tra le più spietate critiche letterarie del panorama odierno. Con il suo romanzo d’esordio Fake Accounts sembra voler dare la possibilità di rivalsa a chi è stato aggredito dalla sua penna. Esso infatti è una raccolta di luoghi comuni, di pensieri netti, di auto – critica, di auto – fiction ed, insieme, di non – fiction servita al mondo proprio per essere criticata. La vita raccontata da Lauren Oyler è uno stereotipo sociale vivente dai quali nessuno di noi è immune. La protagonista sembra subire le sorti del Vitangelo Moscarda pirandelliano in Uno, nessuno e centomila. In questo caso non è il naso pendente a creare realtà parallele di sé stessa, bensì la volontà di sperimentare. Se i social sono una finzione e, al tempo stesso, la nostra unica realtà soddisfacente, non diventa anch’essa fasulla? E perché quindi, non possiamo diventare dei fake accounts che si aggirano indisturbati per il mondo? Ad ogni appuntamento rimediato sul sito d’incontri OkCupid, la nostra protagonista mette in scena una nuova sé stessa. Una volta è una ballerina di danza moderna, un’altra una scrittrice. Una volta è vedova, un’altra è sposata ma in fuga. Ed è così, in questo camaleontico cambio di personalità, che noi abitanti del nuovo millennio veniamo spogliati e derisi, con un dark humor graffiante, delle nostre nude insicurezze. La nostra reciproca distanza umana e la successiva espressione in lunghi stati esistenzialisti su Facebook. La nostra banalità conversativa compensata dalle battute di spirito graffianti che immettiamo su Twitter. Il nostro nutrirci di cereali e cibi precotti in solitudine, offrendo invece alle storie Instagram la nostra miglior versione del nostro porridge d’avena e della pizza gourmet in compagnia. Da leggere anche solo per volerne distruggere ogni singola parola e per dichiarare guerra all’autrice. Il fastidio, che ci incolla alle pagine contro ogni nostra resistenza, non può che essere fomentato dalla consapevolezza che quanto stiamo leggendo è completamente surreale, falso, costruito, montato. È un romanzo che non esiste proprio perché la sua storia non esiste. E, per questo, è assolutamente ed irrimediabilmente vero.