
Lo ha detto Umberto Eco, ma non è stato certo il solo né il primo a porre l’accento sulla questione: la democratizzazione delle tastiere, dovuta alla facilità d’accesso al mezzo di comunicazione, che risponde a un istinto umano naturale, ha dato la stura a legioni di beoti che si sentono autorizzati a dire tutto e il contrario di ogni cosa, con buona pace della verifica delle fonti di una notizia e via discorrendo. Le fake news però sono qualcosa che in una certa misura è sempre esistito ma che al tempo medesimo è anche rappresentazione specifica del contesto storico nel quale prende luogo: la storia delle panzane moderne è infatti strettamente connessa a quella del potere che i fatti sociali rivestono sulla vita reale, che ormai non pare più essere filtrata né separata nitidamente dalla virtualità. Esistono poi delle vere e proprie truppe, i cosiddetti “hater”, una specie di versione perversa degli uffici stampa, che si occupano di diffondere la comunicazione delle notizie false a uso e consumo di chi ne beneficia, in termini di potere anche economico: essere per esempio un influencer, ossia un individuo con un più o meno ampio seguito di pubblico che ha la capacità di influenzare i comportamenti di acquisto dei consumatori in ragione del proprio presunto carisma e della propria presunta autorevolezza rispetto a determinate tematiche o aree di interesse, è infatti diventato una vera e propria professione, pure redditizia…
Un tempo, quando la verità era un valore e non si faceva così tanto a gara a chi la sparava più grossa ‒ consci che la calunnia sia un male da cui inoltre non ci si può difendere perché c’è sempre qualche idiota che ci crede ‒ e quando soprattutto non esisteva ancora (o se già c’era non veniva usato così smodatamente dagli irrisolti violenti codardi e complessati per dare sfogo agli impulsi più bassi) il sistema del web e dei social, si chiamavano semplicemente bufale. Con buona pace dei simpatici ruminanti. Per non usare termini ancora peggiori ma ormai sdoganati, dato che il lessico rispecchia la società, e quella odierna certo non dice più ridicolmente “con rispetto parlando” per riferirsi persino alle estremità del corpo, come se fossero impudiche per antonomasia, però è viceversa del tutto priva di qualsiasi senso civico e del decoro: in questi anni si chiamano fake news. Cioè notizie false. Le due espressioni sono dunque esattamente equivalenti. Solo che dopo l’epoca infame della dittatura in cui non si poteva dire nemmeno bar bensì mescita ora abbiamo la fascistizzazione uguale e contraria, l’esterofilia a prescindere spesso usata a sproposito e mal pronunciata, soprattutto, evoluzione del latinorum di manzoniana memoria, per non far capire bene le persone che non hanno magari avuto la possibilità di studiare, e dunque governarle meglio, in un’ottica di costante depauperamento: del resto “revisione dei conti” lo comprenderebbero tutti, “spending review” no, e quindi fa più scena. Il saggio, divulgativo, preciso, puntuale, semplice, chiaro, dotto, fruibile, ricco di note, bibliografia, livelli d’interpretazione, chiavi di lettura, citazioni, esempi, spunti di riflessione ed esegesi scritto da Riva, professore ordinario di psicologia della comunicazione, analizza cosa siano le fake news, fenomeno che ha comunque delle specifiche e interessanti peculiarità, non è solo l’evoluzione della sempiterna maldicenza, il loro meccanismo di diffusione, la loro fortuna come strumento di disinformazione e scontro politico, in un agone che è sempre più barbaro, e non solo.