
Sclerotici, fumosi, di granito o cemento o fusi in varie leghe metalliche, spuntano dalla macchia, tra gli arbusti, sull’erba. Sono rimandi, ricordi scordati. Reggenti, commissari, marescialli. Sotto le fronde. Due giovani passeggiano tra le statue del sovietico. Lei chiede: è Stalin? Lui non la considera molto, l’ha già incontrata, ché lei vuole che la fotografi. Lui ricorda di quando tutto è cominciato, da studente e operaio presso la Mosfil’m, e inquilino di Elizaveta Romanovna, signora di settant’anni vedova alla quale lo studente andò subito a genio, creandosi tra di loro un’intimità di giochi assidui, di fotografie ripetute e ossessive perché Elizaveta voleva fare l’attrice. Trucco pesante, rughe aggrinzite, scorza grottesca che prelude a un piccolo miracolo nel silenzio segreto di un appartamento saturo di scorie e naftalina e oggetti dimenticati nei bauli. Muffa che attrae. Martin, pieno di debiti e ritardi, si perde tra un libro di architettura e l’ultima lettera dalla campagna dello zio Zinnur, l’unico a sapere spiegare cosa è un metronomo, dal paese dei pomodori sempre verdi. Martin conosce Ilana mentre si sta smarrendo ancora nella sua incipiente presbiopia cosmica. Ilana è cieca e lo condurrà su Marte, in una di quelle stanze dell’edificio ideato dall’architetto Kollhoff, dove il cielo si fonde con la terra…
Dieci scrittori che utilizzano la forma racconto per narrare il post-sovietico attraverso varia umanità. Dieci, nati tra gli anni settanta e gli ottanta, che hanno visto – con larga disillusione – cambiare profondamente il contesto che li circondava. Si è affermato tra di essi, come riporta la ricercatrice Giulia Marcucci, anche traduttrice e curatrice della silloge, un nuovo realismo (M.Černjak, A.Ganieva) fatto di “gesti tragici, insoddisfazione, baratro esistenziale e alienazione”, e un’immagine che si attaglia perfettamente a questo quadro è quella del protagonista del racconto di A. Snegirev che sta con la sua macchina fotografica nuova di fronte a Elizaveta Romanovna, avvolta nella sua pelliccia tarlata zuppa d’acqua fredda dentro la vasca da bagno. Forse anche il posare dell’attrice mancata che si accosta alla posa delle statue sovietiche sotto le fronde. Emerge una sorta di nostalgia dettagliata per il passato sovietico, “tardo-sovietico coincide con autentico”, e Martin reagisce con stizza di fronte ai giovani che si raccolgono sotto la finestra della vecchia Ilana per deriderla nei suoi appuntamenti intimi e solitari. Nel suo posare. Giulia Marcucci vuole in Falce senza martello presentare ai lettori italiani dieci autori (sei inediti), per dieci racconti scritti tra il 2011 e il 2016, legati dall’ordine tematico di amore e morte, viaggio e vecchiaia, trapasso, ricordo, memoria.