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Falso movimento

Falso movimento

“L’immensa piazza del mercato di Heide, nello Schleswig-Holstein; in lontananza le casette lungo la linea dell’orizzonte”. Questo vede Wilhelm mentre guarda con indolenza fuori dalla finestra. Pochi attimi dopo, frantuma il vetro con un pugno e se ne va di casa con la mano fasciata. “Vorrei diventare scrittore. Ma come è possibile, se l’umanità mi lascia indifferente”. È con questo peso nel cuore che Wilhelm lascia la sua casa e sua madre per intraprendere un viaggio. Il suo apprendistato di scrittore. È così che in treno incontra il vecchio, un suonatore ambulante, e la bambina, Mignon. Si uniscono a lui, e quando arrivano a Soest, il gruppo si allarga ancora per fare spazio a Therese, un’attrice, e a Bernard, un poeta. Insieme se ne vanno in campagna dove fanno la conoscenza di un ricco industriale, il quale decide di rimandare quel tanto che basta il proprio suicidio, per passare due giornate piacevoli in compagnia di questo improbabile assortimento di persone. Il vecchio canta canzoni, la bambina se ne sta zitta, Bernard chiede pareri sulla sua poesia, Therese rimprovera Wilhelm che non le dà attenzioni. Wilhelm invece scrive e basta, infastidito dall’umanità, o quantomeno indifferente, toccato da una nostalgia di futuro che lo assale mentre sta con Therese: “Quando sarò solo, potrò riprendere a ricordare, te per prima. Ricordare mi fa star meglio e mi fa tornare la voglia di scrivere. [...] Sono sicuro che in futuro ti amerò molto, Therese”...

Falso movimento, del 1973, è la storia di Wilhelm Meister, raccontata da Peter Handke come se si trattasse di un film. E infatti, nello stesso anno, è uscito l’omonimo film per la regia di Wim Wenders, successivamente regista de Il cielo sopra berlino, opera che condivide ampiamente il gusto amaro e surreale di Falso movimento. In questo libro Handke riprende il celebre personaggio di Goethe per dare vita a un Bildungsroman dal gusto romantico e asettico allo stesso tempo. Infatti la scrittura di Handke è ricca di contrasti: ai brani appassionati dal taccuino di Wilhelm si alterna la descrizione spuria delle inquadrature, che fanno affidamento sull’immaginazione del lettore, più che su una visione del narratore; e i momenti di trasporto emotivo sono sempre interrotti dall’indifferenza di Wilhelm verso le cose umane. Come Bildungsroman riprende la tradizione del viaggio conoscitivo, del viaggio per l’apprendistato da artista, e il falso movimento di Wilhelm è proprio in questo spostarsi per cercare di capire l’umanità, uno spostarsi all’esterno che non ha niente a che fare con il “vero” movimento, quello verso l’interno, verso se stessi, secondo l’interpretazione più nota del titolo. Ma come tutte le metafore degne di nota, quella di Handke sul falso movimento, risveglia anche altre idee se si considera che il libro è narrato per inquadrature cinematografiche: qui notiamo il paradosso di Zenone che postula l’impossibilità del moto vista la divisione infinita degli istanti, ipotesi formulata duemila anni prima della comparsa del cinematografo, che altro non fa che creare l’illusione del movimento sommando gli istanti impressi sulla pellicola.