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Fare un film

Fare un film
Sidney Lumet con cinquanta film all'attivo sì che può arrogarsi il diritto di raccontare come “fare un film”. Ha iniziato la sua carriera nel 1957 con La parola ai giurati, che gli è valso l'Orso d'oro al Festival di Berlino. Davvero niente male per un debutto. Passano gli anni e nel 1962 Il lungo viaggio verso la notte si fa notare a Cannes per le interpretazioni dei protagonisti, Katharine Hepburn, Dean Stockwell, Jason Robards e Ralph Richardson, che ottengono il riconoscimento come migliori performance attoriali. Negli anni '70 miete un successo dietro l'altro e si afferma come una delle icone del cinema di quel decennio di rivoluzione che sta travolgendo Hollywood. Film come Serpico, Quel pomeriggio di un giorno da cani, e Quinto potere lo rendono una tappa obbligata per chi vuole confrontarsi con l'universo cinematografico americano, dai gloriosi giorni del bianco e nero ad oggi. Dopo quasi sessant'anni passati sul set, scrivere un libro che ne racconti dettagli, manie, idiosincrasie ed ossessioni suona come fare il punto sulla propria vita, registica e non…
Apri Fare un film con qualche dubbio: hai letto i riassunti, le quarte di copertina, i risvolti e ne sei rimasto parzialmente attratto. Da una parte ami Il verdetto e Assassinio sull'Orient Express e quindi non puoi che provare un'incontrollabile fascinazione per il volume che dedica la sua stupenda copertina al volto di Al Pacino in Serpico. Dall'altra ti aspetti il solito resoconto di una carriera, autoreferenziale e piatto oltre misura. Leggi le prime due pagine e tutto ti sembra come ti eri immaginato: nessuna trama, solo un racconto di vita, di vite, di set, di cinema, un flusso di coscienza più o meno organizzato impossibile da sostenere per oltre duecentocinquanta pagine. Poi prosegui, non sei così spocchioso da pensare di giudicare un libro dopo averne lette solo un paio di facciate. E non hai bisogno di molto altro tempo per renderti conto che a Lumet la trama non serve, gli è sufficiente un filo conduttore, un mondo che conosce alla perfezione, per dare vita ad un lucido, spontaneo e dettagliato racconto. La sua prosa, piana, lineare e allo stesso tempo brillante, scorrevole, mai banale, colma il vuoto di cui solo per qualche minuto hai sentito il peso. Fare un film non insegna a girare una pellicola. Perché, prima di tutto, «non c'è un modo giusto o sbagliato di dirigere un film». Semplicemente ti fa innamorare del cinema. È questo il motivo per cui il libro di Sidney Lumet è adatto ad un pubblico tanto eterogeneo: può essere preso in mano dall'appassionato, dallo studente o dall'addetto ai lavori, che ritroverà nelle parole del regista molto di quello che ha sempre amato, studiato o sudato su un set. Ma può anche essere letto da chi vive la settima arte come un banale passatempo. Poche ore e la valanga di curiosità, indicazioni, teorie, tecnicismi e aneddoti da cui sarà travolto lo costringeranno a cambiare repentinamente idea, instradandolo sulla medesima via su cui camminano appassionati, studenti ed addetti ai lavori. Sidney Lumet passa in rassegna tutte le fasi che devono essere attraversate per la realizzazione di un film, dalla stesura della sceneggiatura per arrivare alla consegna della copia campione, raccontando un'esperienza e una visione delle cose che, non esita a sottolineare più volte, è estremamente personale e soggettiva. Narra infondendo un brio ed una velocità alla sua scrittura che lascia il lettore esterrefatto davanti all'infinita mole di informazioni e stramberie con cui viene bombardato. Fare un film toglie ogni mitopoiesi al mondo del cinema, perché lo mette a nudo, descrivendone con critica simpatia ogni risvolto, ogni aspetto, interrogandosi sul valore stesso della settima arte e del mestiere di regista.