
All’inizio del 1919 Benito Mussolini è un ambizioso giornalista socialista, ospite dei salotti più in voga. Sposato con Rachele Guidi, non si nega evasioni dal ménage matrimoniale: un carosello di amiche e amanti, mischiando amore e affari, confronti politici e letterari. Due sono le donne più vicine al futuro duce, le “vestali del socialismo” Anna Kuliscioff e Angelica Balabanoff. Sono entrambe dell’Est, ebree, coltissime, ricche e impegnate nelle prime battaglie per l’emancipazione femminile. Quando Angelica diventa amante di Benito è nominata anche caporedattore del quotidiano “Avanti!”, che lui dirige. E quando gli eventi storici rapidamente aprono un’altra pagina - quella della marcia su Roma - con il vento che cambia, cambia anche la cerchia ristretta intorno al suo direttore. Un’altra ebrea - veneziana - Margherita Sarfatti; Irene Dalser che si autoproclama “moglie di Mussolini”, che gli dà un figlio ma finisce in manicomio; Alice de Fonseca Pallottelli, impegnata in attività diplomatiche per conto di lui fino a condurre - si dice - missioni di spionaggio in Europa e Stati Uniti. Donne assai diverse dalla consorte Rachele. All’inizio del 1919, la società italiana, appena uscita dalla Grande Guerra, è devastata da lutti e disperazione; la rinascita, nonostante la vittoria (“mutilata”) coinvolge anche le donne che assumono incarichi diversi dai tradizionali: diventano operaie e autiste, impiegate o funzionarie. Si tratta di una necessità, non proprio una conquista e, pertanto, non è ancora il tempo della “questione femminile” capace di coinvolgere oltre la ristretta élite. Sarà il movimentismo fascista (da qui al 1922) a rispondere alle istanze delle donne, precorrendo i tempi delle comunità più organizzate e trasversali? Che ruolo ebbe il movimento rivoluzionario delle protagoniste di quelle istanze alla nascita del consenso popolare al fascismo?
Per rispondere a quesiti complessi e scomodi, il modo migliore è interrogare la storia, i documenti e le biografie. Non è un lavoro scontato: si tratta di testimonianze a lungo trascurate. Ricercarle, riaprirle (o schiuderle per la prima volta) si rivela, tuttavia, una miniera notevole. L’obiettivo di Angelo Piero Cappello, direttore del Cepell (Centro per il libro e la lettura), con una lunga esperienza di direzione degli Istituti Italiani di Cultura all’estero, autore di diversi studi di letteratura e storia, è riunire le protagoniste di quella storia; il risultato - questo libro - una sorta di enciclopedia delle donne che operarono la “fusione” tra le istanze femminili e il movimento fascista nella sua fase rivoluzionaria. Donne diverse: dalle intellettuali citate alle compagne di vita, ma non mancano le ideologhe autentiche, le legionarie fiumane, le squadriste, coloro che parteciparono, cento anni fa, alla marcia su Roma. “Affermare che il fascismo sia stato una cultura maschilista è sbagliato: - spiega l’autore - maschilista è stata la cultura – popolare e non solo – del primo cinquantennio – almeno – del Novecento italiano, di cui il fascismo fu storicamente interprete e di cui permangono residui tabù e intollerabili tracce ancor oggi”. Nei sette capitoli di Fasciste sono contenute più di sessanta biografie (o, meglio, “istantanee biografiche”) che seguono l’arco cronologico della Storia e l’evoluzione dell’eterogeneo mondo femminile. Tutto poggia su solide basi documentali ed è completato da immagini e carte d’archivio.