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Ferrovie del Messico

Ferrovie del Messico

Repubblica Sociale Italiana, Asti, febbraio 1944. Magetti Francesco detto Cesco ha quasi ventitré anni ed è un milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria. È fidanzato con una certa Isotta, che però quasi quattro anni prima, ormai, è partita per andare prima in Francia, poi in Marocco “appresso agli incarichi commerciali del padre” e infine in Senegal. Dall’Africa scrive a Cesco interminabili lettere piene di verbi al futuro: faremo, vedremo, diremo. Lui si è rassegnato però ormai all’idea di non amarla più. Da qualche giorno il giovane milite della RSI soffre di un ascesso a un dente che gli procura dolori spaventosi: in quella situazione però non è certo facile trovare un dentista. Seduto sulla scrivania che prima era di Guasco – un camerata che ha disertato portando via con sé “tutto il caffè, diciotto fucili su venticinque, la macchina da scrivere dell’Aiutante capo e tre chili di carta” – Magetti sta come suo solito battendo a macchina con tutta calma (d’altronde era Guasco quello bravo a battere a macchina), pigiando un tasto ogni dieci minuti, un notiziario giornaliero che non leggerà praticamente nessuno. All’improvviso entra nella stanza l’Aiutante capo, che senza tante cerimonie, con baldanza mussoliniana, avverte l’attonito Cesco che con effetto immediato dovrà passare il compito di redigere i notiziari a un collega e prepararsi a redigere “una documentazione dettagliata della rete ferroviaria del Messico”… Terzo Reich, Berlino, giugno 1943. Bardolf Graf, impiegato amministrativo presso la Divisione ferroviaria della Orpo, Dipartimento suicidi statali assistiti (Bahnschutz-selbstmorderpolizei), riceve un pacco contenente un regalo. Il plico gli è stato spedito dalla ricca nobildonna Marie Agnete von Thurn und Taxis “per ringraziarlo di una sua premura” e contiene un libro. Un libro sui treni. E Bardolf ADORA i libri sui treni. Questo poi è particolarissimo: si intitola Poetische und malerische Geschichte der Einsenbahnen in Mexiko e ogni capitolo è dedicato a una tratta ferroviaria messicana, persino una che conduce a Santa Brígida de la Ciénaga, città leggendaria non segnata sulle mappe. Bardolf si chiude in bagno a leggere il libro per quaranta minuti, e quando esce il suo superiore gli confisca il libro, che ben presto finisce al reparto Controllo sui regali ai dipendenti. L’impiegato Graf viene convocato e affannosamente sale otto rampe di scale, percorre nove corridoi e quattro disimpegni della Torre Ottogonale SS-Führungshauptamt per apparire di fronte all’ineffabile Neidhard Böhm, capo del reparto Controllo sui regali ai dipendenti…

Che un romanzo di ottocento pagine racchiuse da una copertina dalla grafica – per quanto non banale – di certo non ammiccante pubblicato da una piccola casa editrice raggiunga la visibilità di questo Ferrovie del Messico è un caso più unico che raro. Che poi si aggiudichi il premio Mastercard Letteratura e il titolo di «Libro dell’anno» assegnato dalla popolare trasmissione Fahrenheit di Radio Tre Rai e che sia nella dozzina dei candidati al Premio Strega 2023 è praticamente un miracolo. Diciamolo chiaramente e subito: molto del merito va all’attività di “lobbying” incessante e intelligente intrapresa da Giulio Mozzi, che dal 2020 cura la collana di narrativa sperimentale fremen per Laurana Editore e che si è speso al 200% per perorare la causa del romanzo sfruttando il suo (meritato) prestigio nella “bolla” editoriale sui social network. Ma di certo nessuna captatio benevolentiae sarebbe stata sufficiente a generare tanta attenzione nei confronti di un libro che è già abbondantemente andato oltre ogni più rosea previsione anche a livello di vendite (sebbene non si stia parlando di un bestseller, ma contestualizzando etc etc…). Deve esserci qualcosa di più, quindi. Arrosto, oltre che fumo. La storia è quella di un povero disgraziato, fascista senza convinzione, afflitto da un mal di denti assai simbolico e da un mal d’amore un pochino più prosaico che, sullo sfondo della Repubblica Sociale Italiana e della guerra di Liberazione, intraprende una quête apparentemente insensata, che lo porta a venire in contatto con personaggi e situazioni più o meno surreali e caricaturali lungo un percorso narrativo caotico e disperato come i tempi in cui è ambientato. Uno spunto già originale di per sé, che però l’astigiano Gian Marco Griffi fa lievitare come un gigantesco muffin fuori controllo, dando vita a un romanzo pluralissimo, ipertrofico, che sembra a tratti dotato di vita propria. La letteratura mondiale è ricca di esperimenti simili, ma questo di Griffi ha una particolarità: di solito i romanzi-mondo sono complessi, esoterici per certi versi, non immuni a un certo narcisismo della complessità. Ferrovie del Messico è un’altra cosa – che non saprei dire se migliore o peggiore, dipende banalmente dai gusti del lettore – perché il tono (a parte qualche capitolo kafkiano, oppure neorealista, oppure…) è nel complesso leggero, abbastanza vicino alla commedia. Praticamente ogni personaggio in cui si imbatte il nostro Cesco Magetti racconta, cavilla, chiacchiera, divaga, apre parentesi narrative che in alcuni casi potrebbero costituire un racconto – se non addirittura un romanzo – a sé, in un processo di superfetazione incontrollata che però non ricorda le metastasi, come sarebbe avvenuto con un’atmosfera e una storia cupa o cerebrale, bensì uno tsunami di popcorn scoppiettanti.