
Marzo 1106. Ademar detto il Leone e il suo alleato Stephane de Lonbranch (entrambi al servizio del conte del Maine Helia di Beaugency) cavalcano insieme preparandosi alla battaglia: approfittando dell’assenza del loro acerrimo nemico Ballian ‒ vassallo dell’odiato Robert di Cartacoscia, duca di Normandia ‒ hanno organizzato in fretta e furia il saccheggio di Champvert, grande centro di allevamento di sua proprietà di cui l’uomo tanto si fa vanto. Di fronte a loro, nella riva opposta del fiume, una folla di poveri contadini cerca di fare scudo per difendere il proprio villaggio dall’assedio, ma nonostante la loro superiorità numerica è evidente che non sono dei veri e propri guerrieri: appaiono disorganizzati, e soprattutto non adeguatamente armati, con le loro corte lance e i bastoni di legno a cui si appoggiano impauriti. I due cavalieri sentono che avranno la meglio e, dopo il grido di battaglia, il campo gli dà ragione: i popolani si chiudono in difesa piuttosto che attaccare, e per i loro nemici, impavidi e addestrati alla guerra, è un gioco da ragazzi espugnare la massa disordinata serrata lungo il sentiero che porta alle sparute baracche di fango e paglia. I corpi vengono dilaniati dalle lance e calpestate dai cavalli, e dopo il massacro degli uomini tocca alle donne venire violentate, mentre il fuoco comincia a bruciare le misere dimore. Solo chi si è riparato fra le mura della chiesa può godere della protezione di Ademar, che ordina al fido compagno Benet di issarvi sul tetto il vessillo dei Leoni; anni prima, il giudizio divino riguardo le sue crudeli azioni lo lasciava pressoché indifferente, ma con l’incedere del tempo Ademar ha intrapreso un percorso di remissione alimentato da gesti caritatevoli come risparmiare di tanto in tanto qualche vita umana. Per contro, il Leone si impossessa di Bulcsu, schiavo di Electus de Champvert ‒ sodale di Ballian, un tempo fiero e indomito e ora piegato dalla malattia – e non esita a concedere in sposa al suo valoroso cavaliere Lothar la bella e giovane Celeste, figlia dello stesso sodale che non può fare altro che concedere la sua benedizione pur di salvaguardare l’onore della figlia. Celeste è più preoccupata dello sconforto del padre che del suo destino: gli piace Lothar, è un uomo forte e attraente. Ma lei è la prediletta di Ballian, che una volta rientrato a Champvert, impotente e adirato di fronte al massacro, assicura che non si darà pace finché non se la riprenderà...
Forgiati dalla spada è il terzo romanzo all’attivo del marchigiano Giovanni Melappioni, studioso di storia e particolarmente affascinato dal periodo medievale: il suo libro è ambientato infatti nella Francia del XII secolo ed è il primo volume della trilogia Il Giglio e il Grifone. Dalle imponenti dimore al cibo, dall’utilizzo delle armi ai vestiti indossati, dalle abitudini quotidiane al rispetto delle gerarchie, tutto nel suo libro è il frutto evidente di un’accurata e precisa documentazione storica, che permette al lettore di calarsi completamente nello stile di vita dell’epoca, affascinante e sinistra così come le molteplici personalità che la popolano. Anche il linguaggio utilizzato ovviamente è consono al periodo, ma fortunatamente non così pesante da intaccare la fluidità della narrazione, che risulta tutto sommato agile. L’unica difficoltà per il lettore, forse, è districarsi tra la “folla” del romanzo, un reticolo fittissimo di personaggi (servi, mogli, arcieri, concubine, figli legittimi o meno, scudieri, cavalieri, abati e via dicendo) facenti parte delle tre casate protagoniste della saga: i Leoni, capeggiati da Ademar, i Lombranch, capitanati da Stephane, e i de l’Azur, con in testa un Ballian molto arrabbiato per l’affronto ai suoi possedimenti, la cui ira funesta innescherà la spirale della vendetta che stravolgerà per sempre le vite di tutti. Particolarmente interessante ‒ e in qualche modo in primo piano ‒ la figura di Guibert, figlio illegittimo di Ademar, appellato come “il bastardo”, un giovane inquieto e mai abbastanza pago della considerazione del padre e ostacolato dalla moglie di quest’ultimo, l’invidiosa Ildegaris, nel raggiungimento del suo obbiettivo: diventare un cavaliere. La saga non lesina sulla crudeltà, e coinvolge di continuo il lettore in battaglie sanguinose per il possesso delle terre: le teste spesso e volentieri saltano giù dal collo a mo’ di trofeo, e i più deboli – comprese la donne, depredate della virtù e utilizzate come merce di scambio ‒ vengono sottomessi senza pietà alcuna. Gli ingredienti per un romanzo avvincente (e vincente) ci sono tutti: oltre al coraggio e alla lealtà, non mancano la viltà, le alleanze (suggellate sovente da matrimoni d’interesse), gli intrighi e i tradimenti, senza trascurare il lato sensuale e romantico.