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Fumo negli occhi

Fumo negli occhi

Byron è, o meglio era, un uomo di circa settant’anni. Ora giace sul lettino della Westwind Cremation & Burial, pronto ad essere rasato prima della veglia funebre con i suoi parenti. Per Caitlin è il primo giorno di lavoro. Ha ventitré anni e dopo la sua laurea in storia medievale ha deciso di affrontare la sua paura della morte in un modo non certo convenzionale: inviando il suo curriculum vitae a diverse agenzie funebri nell’area di San Francisco, in cui abita dopo aver lasciato la sua famiglia alle Hawaii. Pur senza mostrarlo apertamente, la morte e la paura di morire l’ha ossessionata fin dall’infanzia. Quando aveva appena otto anni, una mattina si trovava al centro commerciale con suo padre e improvvisamente una ragazzina precipitò giù da una balaustra, nove metri di caduta e il terribile schianto. Il suono del corpo della ragazzina, il suo corpo adagiato sul pavimento in maniera così innaturale, le urla della madre sono stati per Caitlin un’ossessione per molti anni. Da questo sicuramente deriva l’interesse per l’antropologia, i riti funebri, le danze macabre che affrescavano le chiese nei secoli bui del Medioevo. Il lavoro inizialmente è duro, e non privo di imbarazzi. Delle volte le salme devono essere recuperate a casa di parenti in lutto per la perdita. Mariti, mogli e figli che guardano gli operatori funebri con odio, come delle persone che chiedono dei soldi non per dare qualcosa, ma per prendere con sé una delle persone più importanti della loro vita. Giorno dopo giorno, Caitlin è sempre più sicura che quello sia il lavoro più adatto per lei. Non perché provi un insano piacere nel vedere i cadaveri finire nel forno e diventare cenere, ma perché può avvicinarsi alla morte e alle sue paure guardandole dritte negli occhi spenti e vacui delle persone che accompagna verso l’estremo addio: può finalmente capire quanto la morte sia un processo del tutto naturale e non un fatto da nascondere, come ci ha abituati la cultura occidentale…

L’autrice ci avverte fin dall’introduzione: “Chi non desidera leggere una descrizione realistica della morte e dei cadaveri, è incappato nel libro sbagliato. Qui siete chiamati a togliervi metaforicamente la benda dagli occhi” e in effetti il primo cadavere compare fin dal primo racconto. Piuttosto ovvio, quando chi scrive sta portando il lettore dentro la Westwind Cremation & Burial, impresa funebre che si occupa di cremazione e imbalsamazione a San Francisco. Fumo negli occhi e altre avventure dal crematorio è un’autobiografia degli anni in cui l’autrice ha lavorato per l’industria funeraria a San Francisco e frequentato il corso di tanatoprassi in California. Gli aneddoti lavorativi sono inframmezzati con riflessioni personali e digressioni sui riti funebri del passato: conosciamo così i wari, la tribù peruviana dei cannibali funebri che per secoli hanno affrontato la morte dei loro cari mangiandone le loro carni, fino al Tibet in cui le esequie dei defunti vengono deposte su una rupe in modo che gli avvoltoi possano nutrirsi di loro e tornare nel ciclo della natura, mentre la loro anima immortale si libera dal fardello del corpo. La precisione con cui l’autrice affronta ogni tematica, dall’imbalsamazione alla cremazione dei corpi dei neonati, non è mai morbosa ma informativa per questo motivo la lettura non risulta angosciante o cruenta, ma in un certo senso liberatoria per il lettore che si è sempre posto domande sulla morte ricevendo in cambio unicamente punti di vista filosofici, religiosi o nichilisti tout court. L’autrice, fin dagli anni in cui ha cominciato la sua esperienza nel settore delle onoranze funebri, ha un sito web e nel 2011 ha fondato il movimento “The Order of the Good Death” che si occupa di informare le persone sulle questioni pratiche riguardante la morte dei propri cari, e la propria, per scardinare dalla cultura americana il tabù della morte. Per lo stesso motivo nel 2015 ha aperto la sua impresa funebre alternativa, Undertaking LA, in cui insegna alle persone a prendersi cura dei propri cari estinti prima di restituire i corpi alla cenere, nella convinzione che lavare, vestire e passare del tempo con essi sia una sorta di catarsi necessaria per allontanare almeno in parte l’angoscia della perdita e restituire alla morte il suo ruolo di processo naturale e necessario.