
Il Professor Charles Kinbote è convinto che il modo migliore per rendere omaggio al suo amico e poeta John Shade, venuto a mancare il 21 luglio 1959 a New Wye, USA, sia quello di occuparsi in prima persona della pubblicazione, con tanto di commento, del suo ultimo poema incompiuto: Fuoco pallido, un componimento a carattere apparentemente biografico in 999 versi, che sarebbero dovuti essere mille. ll Professor Kinbote avverte una certa responsabilità per la morte dell’amico John Shade avvenuta per errore davanti a casa sua, ma è spinto soprattutto dal senso di responsabilità verso i lettori del poema, i quali sarebbero costretti a vagare tra i versi senza mai venire a conoscenza del ricchissimo sottotesto che ha dato vita all’opera. Un sottotesto che sarebbe ovvio a chiunque avesse potuto ascoltare le conversazioni avvenute quello stesso anno tra Kinbote e il poeta, nelle quali quest’ultimo mostrava un avido interesse per la storia di Zembla (paese d’origine di Kinbote) e del suo re fuggiasco ed esiliato Charles Xavier. Su questi fatti, secondo Kinbote, si fonderebbe il poema, che senza i suoi commenti “semplicemente non possiede alcuna umana realtà”, affermazione che forse il vecchio Shade non avrebbe condiviso; così come non la condividono l’antipatica moglie Sybil Shade e tutta “una conventicola” di accademici ansiosi di mettere le mani sull’ultima opera del poeta e di screditare il professor Kinbote. Ma, “nel bene o nel male, è il commentatore ad avere l’ultima parola”…
Fin dall’anno della sua uscita, il 1962, si sono stratificate su Fuoco pallido un’infinità di teorie volte a spiegare la verità nascosta al lettore dal narratore inattendibile di quest’opera. Il romanzo si apre con una prefazione che fa già parte della finzione, seguono i 999 versi del poema di Shade (intitolato anch’esso Fuoco pallido), e un ricchissimo commento di più di duecento pagine in cui il professor Kinbote cerca di far entrare a forza la storia della sua amata Zembla e del suo re all’interno dei versi. È così che Nabokov congegna un meccanismo che va oltre il semplice piacere umano di abbandonarsi a un racconto perfetto: la natura menzognera che continuamente emerge dalle pagine diventa un gioco irresistibile per il lettore, che deve dubitare di tutto, anche dell’esistenza fittizia dei personaggi, tanto da spingerlo a dimenticarsi completamente della sua struttura così particolare. Non stupisce infatti che Modern Library abbia inserito Fuoco pallido nella lista dei 100 migliori romanzi di lingua inglese del XX secolo, perché di romanzo si tratta: nonostante questa struttura, che a primo impatto potrebbe sembrare un divertimento per addetti ai lavori, il libro conserva una carica romanzesca e una dinamicità degne del romanzo d’avventura. Chi ha già letto qualche libro di Nabokov, o anche solo il suo celebre Lolita, ritroverà nelle pagine di Fuoco pallido tutta una serie di temi, tecniche e immagini che sono costanti nell’opera dello scrittore: come il già citato narratore inattendibile, l’europeo che vive una qualche forma d’esilio, le farfalle, e la menzogna che diventa premessa della narrazione. Tutti pezzi di una scacchiera che Nabokov riposiziona per formare un problema sui limiti dell’interpretabilità di un’opera; resta da chiarire se quest’opera sia il Fuoco pallido di Shade o quello di Nabokov.