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Galápagos

Galápagos

1986, Guayaquil, Ecuador. Il trentacinquenne James Wait ha appena comprato nella hall del suo albergo un biglietto per una crociera di due settimane verso le isole Galápagos sulla nave “Bahía de Darwin”, nuova di zecca e al suo viaggio inaugurale. È un uomo tozzo, brutto, precocemente calvo e può tranquillamente spacciarsi per un ultracinquantenne, se ritiene che la cosa possa essergli utile. Wait infatti vuole aver l’aspetto di un innocuo timidone, di un nerd, ma in realtà è uno spregiudicato cacciatore di donne sole. Ne ha già “predate” diciassette, seducendole, sposandole per poi abbandonarle dopo aver loro svuotato il conto in banca, le cassette di sicurezza e le scatole dei gioielli. L’ultima in ordine di tempo è stata una bruttissima settantenne di Skokie, Illinois: Wait spera con tutto il cuore che alla donna non venga mai in mente di venirlo a cercare alle isole Galápagos! Lui in compenso nemmeno sa cosa siano. Immagina spiagge bianchissime, cocktail e ragazze in costume, non si aspetta certo che siano una distesa di nere rocce laviche aride e secche, circondate da un mare impetuoso. Non sa neanche nulla di Darwin, dell’evoluzione e così via. Ha studiato ben poco, è cresciuto in orfanotrofio, poi è scappato a Manhattan e qui ha fatto il prostituto per omosessuali per un po’, poi l’istruttore di ballo, e infine il truffatore. Sulla “Bahía de Darwin” ci saranno anche Zenji e Isako Hiroguchi, giovani sposi giapponesi (lei in evidente gravidanza), il milionario americano Andrew McIntosh e la figlia diciottenne Selena, cieca dalla nascita, e infine Mary Hepburn, una vedova americana di mezza età. Wait sta pensando di spacciarsi – durante la crociera – per un ingegnere meccanico di Moose Jaw, nel Saskatchewan, che di recente ha perso sua moglie per un cancro. E proprio mentre lui ignaro elabora un piano per i prossimi giorni, l’economia mondiale sta precipitando in tutto il mondo…

Considerato da alcuni il romanzo meno riuscito di Kurt Vonnegut jr. (una tesi a onor del vero non del tutto peregrina), Galápagos - uscito nel 1985 - è una sorta di divertissement post-apocalittico. Un ibrido tra Mark Twain e Robert Sheckley in cui si immagina il mondo in ginocchio per il letale combinato disposto di una catastrofe finanziaria globale e di una pandemia che rende tutta la popolazione mondiale sterile. Tutta, tranne i partecipanti a una sgangherata crociera (e qualche allegra ragazza-cannibale) sull’isola immaginaria di Santa Rosalia, che Vonnegut jr. situa non a caso nell’arcipelago reso celebre da Charles Darwin. Quelle isolette aspre e brulle infestate da iguane sono state infatti centrali per la formulazione della teoria dell’evoluzione e tornano ad esserlo perché l’autore le immagina teatro di una svolta evolutiva del genere umano, che imbocca una strada che lo porterà – centinaia di migliaia di anni dopo – a somigliare vagamente a leoni marini o pinguini (!?). Già, il futuro. È proprio in un futuro distante un milione di anni infatti che si trova il narratore del romanzo, Leon Trout, figlio di Kilgore Trout – personaggio-feticcio di Vonnegut jr., che comunque fa qualche apparizione anche in questo libro – ma non da vivo, bensì come fantasma (!?) dato che è morto prima dei fatti narrati nel romanzo, proprio durante la costruzione della nave “Bahía de Darwin”. Lo sguardo del narratore è molto critico sugli umani degli anni Ottanta, influenzati negativamente dal “cervello troppo grande”, un problema che del resto l’evoluzione si incaricherà presto di risolvere. La copertina italiana è perfetta per confondere il lettore: non saranno pochi i malcapitati che – credendo di acquistare un diario di viaggio o qualcosa del genere – già dopo le prime 4 o 5 pagine si chiederanno dove diavolo sono capitati. E non è detto che dopo 300 pagine avranno trovato una risposta plausibile.