
Per tutti è semplicemente “Génie la matta”, forse perché non parla con nessuno, forse perché lavora in tutte le fattorie senza una vera ricompensa per il duro lavoro e le umiliazioni a cui è sottoposta, solo con una cena fatta di avanzi di fine giornata per lei e per la figlia, forse perché cammina sempre con un cestino e la testa bassa. Vero, ha Marie, la piccola Marie, che le sta sempre alle calcagna, che la segue a fatica, ma non si risparmia pur di stare al passo con la madre. “Non starmi addosso”, “Torna a casa”, “Vai a letto” sono le uniche parole con cui comunica con Marie. La sera torna a casa, prepara la cena, si toglie gli stivali e con un fiammifero pulisce il callo screpolato. Poi si lascia cadere nel letto per recuperare le forze perché la mattina dopo c’è da fare in un’altra fattoria. La sua casa è poco più che una topaia, umida, nascosta in un vialetto di salici piangenti che sente parlare, lontana da tutti, fra le volpi, i corvi e altre bestiacce che di notte popolano con i loro latrati il silenzio dell’abbandono. Génie non ha avuto niente dalla vita, nessuna gioia, nessuna felicità: la figlia per lei è a volte una condanna. Marie almeno ha Pierre, incontrato una notte in una stazione quando oramai era troppo tardi anche per l’ultima corriera. Marie ha sua madre da seguire, sua madre a cui vuole bene senza ricevere mai una carezza, sua madre da accudire e da aspettare nelle sere gelide d’inverno. Anche quando arriva la proposta di Antoine di formare una nuova famiglia e ricominciare, la crudeltà degli uomini, più che il destino, è inesorabilmente in agguato…
Génie e Marie sono le vittime di una storia di miseria, fatta di rancori, rabbia, rassegnazione, tristezza, paure e infelicità: non c’è riscatto per loro, né nel lavoro, né nella scuola. Génie e Marie, la voce narrante della storia, sono le vittime di una crudele comunità di campagna, che emargina, aliena, schiaccia. È il romanzo di un tragico amore incondizionato, sconfinato e lancinante, della figlia per una madre incapace di dare amore perché troppo profondamente segnata dagli avvenimenti della sua vita, ma anche di un amore straziato e punito senza che ci sia una colpa, né soggettiva né oggettiva, se non quella di essere al mondo, destinato ad una vita di dolori e perdite di tutti gli affetti, dal padre alla vaccherella domestica, Rose, cieca dalla nascita e per questo perfetta compagna della solitudine della piccola. L’aspetto più evidente e triste è la crudeltà con cui è “integrata” e sfruttata Génie, diminutivo solo apparentemente vezzeggiativo di Eugénie, vittima dei suoi compaesani, che si rivolgono a lei solo per farle scontare la pena di aver subito uno stupro, di non aver assecondato i desideri di un uomo insensibile. Per questo è pazza, perché non si piega alle regole. Con questo romanzo, a tratti autobiografico, uscito nel lontano 1976, Inès Cagnati fornisce una sua lettura disincantata dell’infanzia, lontana da ogni felice proiezione mitologica nei ricordi degli adulti, e con la bucolicità della vita di campagna: perché nell’infanzia di Marie, comunque contenta a suo modo perché ha sua madre, nulla ha un lieto fine. Nei riti quotidiani, che si ripetono cadenzati ed inesorabili, la mancanza ed il lutto sono la normalità.