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Georgia

Georgia
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È il 1915 e Georgia è un’insegnante squattrinata di ventisette anni in una riarsa cittadina del New Mexico. Le giornate trascorrono piatte, quasi spente se non fosse per la passione che le brucia dentro. L’arte, il disegno di cui conosce tecniche e nozioni e che un giorno la spinge a chiudersi a chiave nella sua camera voltando le spalle a tutto, dimenticare la teoria e buttarsi a terra con grossi fogli di carta e carboncino a inventarsi, a trovare la sua arte. I tanti disegni arrotolati finiscono nelle mani di Anita Pollitzer, amica di New York, che immediatamente li recapita alla 291, la galleria di uno dei più altisonanti nomi del momento, il padre della fotografia moderna Alfred Stieglitz. Il fotografo e gallerista non ha alcun dubbio, quelle sono le opere più pure e oneste che siano entrate nella sua galleria da diverso tempo. Il momento in cui si innamora dei suoi lavori Stieglitz si è innamorato di Georgia O’Keeffe, non è così per lei che incredula di tanto apprezzamento continua a vivere, lontano dalla ressa newyorchese all’alba dei ruggenti anni Venti, tra i paesaggi desolati e le ossa di animali sbianchiti dal sola. Il giorno in cui riceve la telefonata è il 1917 le comunicano che è deciso, ci sarà una mostra di sue opere alla 291; non può più tergiversare, un treno dal Texas a New York la conduce nella sua nuova vita. Non solo artistica. Stiglitz la accoglie in galleria, la mostra dei disegni di lei è già terminata in realtà, ma questo non sembra che destare in lui una lieve ironia e quasi una tenerezza nei confronti della neoartista, che arriva in ritardo alla sua stessa, prima, esposizione. I suoi modi sono sicuri, maneggia i disegni con fluidità, le ripropone la suggestione di vederli alle pareti, la consiglia, la guarda, forse già la immagine nelle pose in cui di lì a qualche anno la ritrarrà nelle sue foto, prima e dopo essere diventata sua moglie. Una luminosa pagina di storia dell’arte si sta per scrivere, ma non senza piccoli e grandi dolori...

Georgia vive con grande afflato, con smodata passione che spesso la sfianca. Nei tanti scatti che la ritraggono, più nuda che vestita, cerca di carpirne il fascino femmineo e severo Stieglitz, il genio e l’uomo che Georgia O’Keeffe continuerà a chiamare per cognome anche dopo sposati, in una forma di deferenza e nello stesso tempo di ironico distacco. Come lui tanti altri amici artisti vorranno scrutare attraverso di lei il segreto della sua granitica e insieme delicata purezza da Ansel Adams a Cecil Beaton, da Bruce Weber a Annie Leibovitz. La descrive piena di pensieri, sempre in lotta con sé stessa Down Trapp in questo romanzo scritto in forma di diario, che racconta della grande intelligenza creativa e della sensibilità moderna e insieme ancestrale di Georgia O’Keeffe. Una delle figure di spicco del secolo scorso, pioniera del Modernismo americano, riscoperta dalla critica solo con tremendo ritardo. La retrospettiva che la celebra solo nel 2016 alla Tate Modern dice tanto sulla difficoltà che l’artista con il suo operato ha fatto per arrivare a ricoprire il ruolo che oggi le si riconosce, come artista e come donna. Celebrata dal femminismo internazionale pur non avendo mai espresso opinioni di carattere politico a tal riguardo, la pittrice dei colori brillanti, dei canyon e dei teschi animali nudi, oggi non è solo la rappresentante di un periodi storico-artistico, ma una vera icona. Le pagine che qui la indagano (e velatamente la celebrano), raccontano con grande lucidità un aspetto privato della vita dell’artista, l’amore che ha legato mente e cuore al suo mentore, il suo compagno e la sua eterna battaglia per emergere dall’ombra -di lui e generale- nella quale, con troppo facile naturalezza, sembrava dover essere relegata. Finita a scrivere di lei per amore dei suoi lavori scoperti in una mostra del 2009 al Whitney Museum, la Tripp mette nero su bianco semplici pagine quotidiane, di grande matericità che testimoniano quanto la banalità del quotidiano sia il metro migliore per sondare le profondità, le insicurezze, la sofferenza dei moti dell’animo; quelli che soggiacciono e insieme covano la brace sotto al tempo e alle cose di tutti i giorni, e che spesso si dimostrano la miccia delle grandi imprese.