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Giallo indiano

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Pasqua 1998. Portare quel cognome, Allasca, ed essere uno studente universitario sul quale pendono delle aspettative non desiderate, per Federico è troppo pesante: giovane intelligente, ha paura di lasciarsi soffocare da quell’etichetta di “figlio del dottor Ludovico Allasca”. E poi lui è un trasgressivo, perché soltanto nella sfida continua può trovare il sale della vita. Questa volta, però, l’ha combinata grossa: espulso dall’India, vi rientra con un passaporto falso per rivedere la sua bella Clelia, ma grazie alla sua esuberanza si ritrova sulle prime pagine dei giornali come rapitore della sua figlioccia e un pericoloso dinamitardo. Claude Saint, responsabile della missione CEE a Bombay, lo confina al sicuro a Tiracol, aspettando che le acque si calmino. Ma per Federico è impossibile trovare la pace, anche in luogo sperduto e solitario, periferico e a strapiombo sul mare. L’amicizia con l’altro italiano, Marco, lo porta a scorrazzare per le strade sterrate e provvisorie della campagna indiana. Con l’australiano Gabi, che vive in una capanna sulla spiaggia, una di quelle che saranno spazzate via del primo soffio di vento, scambia storie e curiosità. Mentre in Italia, a Sestri Levante, cresce la preoccupazione per le sorti del rampollo di famiglia, in India la vita alla macchia sembra trascorrere nella noia più totale, ma il destino ha in serbo delle novità che daranno un altro senso alla vita di Federico…

Giallo indiano, a dispetto del titolo, non è un romanzo giallo: il titolo richiama infatti il colore ed il calore della terra che ospita le avventure di Federico Allasca, circoscrivendone la crescita interiore. Si tratta, infatti, di un romanzo di riflessione, per certi versi intimo, se non fosse per lo stile brillante di Carlo Moiraghi, che poco o nulla concede alla pausa: la sua scrittura è briosa e dissacrante, un fiume di particolari visivi e mentali, segnati da una trama lineare che lascia spesso spazio, senza troppo risentirne l’attenzione, a lunghe digressioni, a incidentali divertenti, a commenti, idee, evoluzioni della mente. Moiraghi è un profondo conoscitore dell’India, medico chirurgo e agopuntore, ambasciatore delle medicine non convenzionali: per questo il suo racconto non è convenzionale, ma cerca di scavare sul senso della vita, facendo oscillare il lettore fra la tranquillità e la calma dell’esilio di Federico, e lo stupore e la meraviglia per le sorprese che si nascondono dietro gli angoli più impensati e impensabili dell’esistenza. Non vuole impressionare il suo lettore, ma spingerlo a riflettere, accompagnarlo per mano in un viaggio sicuro: il ritmo a volte surreale di alcune trovate narrative spinge fino all’orlo dell’irreparabile, ma non ci si può non affidare completamente alla calma del narratore, àncora sicura e punto di riferimento costante del lettore. L’adrenalina legata alle peripezie del protagonista si mescola sapientemente con le brevi riflessioni su religione, affetti, amore, significato di ogni azione. È per questo un romanzo a tutto tondo, che pur lambendo i confini dell’assurdo comunque ha una prorompente capacità diegetica.