
Gianni Rodari è un bambino schivo, minuto di corporatura, che se ne sta spesso in disparte a leggere. Fa solo la terza elementare nella scuola di Omegna, paesino d’incanto sul lago d’Aorta, quando sul suo quadernetto da disegno inizia a scrivere i primi versi. Il padre, operaio prima, panetterie poi, lascerà lui e la famiglia di lì a poco per una broncopolmonite, e coi fratelli e la madre, domestica, ex operaia di cartiera e donna estremamente religiosa, si sposteranno a Gavirate (Varese). Seguono gli anni del seminario, presto abbandonato, delle scuole magistrali, della lettura curiosa di tutto, dello studio autodidatta delle lingue e della partecipazione all’Azione Cattolica. Ed è proprio in questo contesto, nel ’36, a soli 16 anni, che pubblica, sul settimanale cattolico “L’azione giovanile”, i suoi primi otto racconti. Forza d’amore, Fine di maggio di un pazzo, Madri e figli…tutte storie di solitudini, di affetti familiari spezzati dalla malattia o dalle ristrettezze economiche, dove a farla da padrone è un’angoscia cupa e senza possibilità di riscatto, un tono tragico che la fede e i suoi simboli, seppur costantemente presenti, non riescono a dileguare. Presagio della sua imminente crisi spirituale, politica ed intellettuale? Crisi o per meglio dire maturazione? Dopo più di dieci anni di silenzio, nel ’46, Rodari ritrova, impellente, il gusto di raccontare. Un raccontare tutto nuovo, sostenuto da un’elaborazione teorica ben precisa come quella della Grammatica della Fantasia e della Ricetta per un racconto. Sono racconti ispirati al surrealismo, racconti di straniamento, di spaesamento, come quello della signorina Bibiana: “La signorina Bibiana si è guardata tanto nello specchio che alla fine c’è rimasta”. È stata risucchiata al suo interno…Racconti che Rodari pubblica, spesso sotto pseudonimo, nelle pagine del Corriere Prealpino. Quasi si dovesse scusare per il fatto di non dedicarsi esclusivamente al suo ruolo di giornalista impegnato politicamente, collaboratore prima e direttore poi, del settimanale di ispirazione comunista L’Ordine Nuovo. Eppure, anche in queste pubblicazioni giornalistiche, riflessioni, appelli, commenti, emerge di continuo la sua predilezione per la narrazione fantastica e immaginifica, che trova più libero sfogo e insieme fruttuoso canale d’impegno, con le rubriche da lui stesso introdotte quali “Sul fronte delle fabbriche”, “La domenica del contadino”, “I discorsi del cav. Bianchi”, “La posta della Donna”, “I dialoghetti di Peder e Paul”, o con l’accenno alle proprie esperienze personali e familiari come nell’articolo “Perché mia madre vota comunista”.
Dici Rodari e pensi a filastrocche, racconti, poesie per l’infanzia. Pensi al numero spropositato di scuole a lui dedicate sparse in tutta Italia. Al suo impegno politico nelle fila del partito comunista, al valore delle sue opere per bambini, più o meno grandi, che travalica qualsiasi coloritura politica. In questa raccolta di scritti giovanili e nei saggi dei tre autori ad essi relativi, c’è l’analisi delle preziose esperienze e riflessioni, personali ed artistiche, che porteranno al Rodari oggi più conosciuto. E c’è un silenzio, un silenzio lungo più di 10 ani, dal ’36 al ’47. Uno dei grandi meriti della raccolta è senza dubbio quello di cercare di capire il valore di quei 10 anni, di ricostruirne gli avvenimenti, gli studi, il travaglio interiore di una personalità estremamente sensibile e ricettiva: la crisi religiosa, l’insegnamento, la guerra, la necessità dell’adesione al fascismo per poter continuare a insegnare, gli studi sui surrealisti (con la riproduzione di alcune pagine del Quaderno di fantastica, da poco rinvenuto, a darne testimonianza) e l’elaborazione di una poetica propria. E ancora l’adesione al comunismo e l’iscrizione al Partito Comunista, l’abbandono progressivo dell’insegnamento (ma a cui affettivamente resterà sempre legato) a favore della carriera giornalistica. C’è il travaglio di quegli anni, il legame alla sua terra natale e alla sua famiglia, il fascino per il racconto fantastico, ma non di disimpegno, non di evasione. C’è la maturazione della sua duplice anima, quella di giornalista politico e quella narratore d’infanzia, che da lì a poco, con la chiamata nel ’47 all’Unità di Milano, lo farà conoscere a livello nazionale.
Dici Rodari e pensi a filastrocche, racconti, poesie per l’infanzia. Pensi al numero spropositato di scuole a lui dedicate sparse in tutta Italia. Al suo impegno politico nelle fila del partito comunista, al valore delle sue opere per bambini, più o meno grandi, che travalica qualsiasi coloritura politica. In questa raccolta di scritti giovanili e nei saggi dei tre autori ad essi relativi, c’è l’analisi delle preziose esperienze e riflessioni, personali ed artistiche, che porteranno al Rodari oggi più conosciuto. E c’è un silenzio, un silenzio lungo più di 10 ani, dal ’36 al ’47. Uno dei grandi meriti della raccolta è senza dubbio quello di cercare di capire il valore di quei 10 anni, di ricostruirne gli avvenimenti, gli studi, il travaglio interiore di una personalità estremamente sensibile e ricettiva: la crisi religiosa, l’insegnamento, la guerra, la necessità dell’adesione al fascismo per poter continuare a insegnare, gli studi sui surrealisti (con la riproduzione di alcune pagine del Quaderno di fantastica, da poco rinvenuto, a darne testimonianza) e l’elaborazione di una poetica propria. E ancora l’adesione al comunismo e l’iscrizione al Partito Comunista, l’abbandono progressivo dell’insegnamento (ma a cui affettivamente resterà sempre legato) a favore della carriera giornalistica. C’è il travaglio di quegli anni, il legame alla sua terra natale e alla sua famiglia, il fascino per il racconto fantastico, ma non di disimpegno, non di evasione. C’è la maturazione della sua duplice anima, quella di giornalista politico e quella narratore d’infanzia, che da lì a poco, con la chiamata nel ’47 all’Unità di Milano, lo farà conoscere a livello nazionale.