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Gianni Rodari, il bambino sovversivo

Gianni Rodari, il bambino sovversivo

“Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo?” Gianni Rodari ha solo diciotto anni quando elabora questa riflessione. Nonostante la giovane età, si trova a svolgere il ruolo di insegnante, prima come precettore presso una famiglia di ebrei tedeschi, poi come supplente in una scuola elementare. Siamo nel 1938, le Leggi razziali sono state appena varate e nell’insegnamento vige l’autoritarismo del tempo e il dogmatismo del regime fascista. Gianni è un ragazzo difficile da irreggimentare: nonostante -o forse proprio a causa- della severa educazione impartitagli dalla madre -donna religiosa, rigida e autoritaria- il futuro autore sembra sempre cercare una via di fuga laterale, una porta nascosta e imprevista attraverso la quale accedere alla libertà, alla fantasia, al pensiero creativo fuori dagli schemi. Ha forse ereditato questa attitudine dal padre scomparso prematuramente a causa di una broncopolmonite contratta per essere uscito sotto un acquazzone invernale pur di recuperare un gatto rimasto tra le pozzanghere. Un paradigma familiare sovvertito quello della famiglia Rodari: la dipendenza educativa con la figura materna e lo spazio affettivo rivolto a quella paterna. Sempre su pressione della madre entra in Seminario, ma non resiste a lungo: ne definisce “umiliante” la disciplina. Il sentimento religioso e spirituale però non lo abbandonerà mai, sarà un cristiano senza Chiesa e Confessione. Stessa cosa gli accade col pensiero politico: si definirà sempre comunista, ma i suoi rapporti col PCI saranno spesso problematici a causa della sua autonomia di pensiero rispetto alla “disciplina di Partito”. Autore tradotto e diffuso in Unione Sovietica prima ancora che in Italia, non riesce a reprimere il suo antistalinismo e criticherà apertamente l’invasione dell’Ungheria prima, e della Cecoslovacchia poi, da parte dell’URSS: un comunista senza Partito e senza Patria. Il non trovare mai una sponda e una casa, assieme alle delusioni accumulate nel corso della sua vita sensibile, lo porteranno all’isolamento. È in quest’ultima fase che lascia in eredità il suo ultimo romanzo, la più enigmatica delle sue opere: “C’era due volte il barone Lamberto ovvero i misteri dell’isola di San Giulio”, un testamento filosofico che si potrebbe semplicisticamente riassumere con l’importanza del pensare con la propria testa. “La legge la facciamo noi” dicono i suoi personaggi: guardando un fiume “che va all’insù”...

Nonostante l’ampia diffusione degli scritti di Rodari già a suo tempo, questi fu a lungo considerato dalla società letteraria del tempo - escludendo, guarda un po’, Italo Calvino -, niente di più e niente altro che un “fabbricante di giocattoli”. Eppure l’autore di Omegna riuscì a far confluire nelle sue opere (racconti, favole, filastrocche e fumetti) la celebrazione della libertà di pensiero passando attraverso il gioco ed il continuo spostamento del punto d’osservazione rispetto a quello previsto dalla logica imposta. Era come se si immedesimasse nei bambini quando sentono la naturale propensione a girare così a lungo su loro stessi per provare le vertigini di una percezione alterata, ma altrettanto reale, rispetto alla postura ordinaria. Quasi un dispensatore di lisergica apertura alle “porte della percezione”, al pensiero laterale. La morale sempre insita nelle favole per bambini perde in Rodari la connotazione pedante, passando talvolta per il gioco di parole fine a stesso, considerando sempre e comunque la possibilità di un mondo al contrario, tanto da edificare un’opera costituita da libri che avrebbe senso fossero ospitati anche negli scaffali degli adulti. In questo saggio efficacie e approfondito si analizza la biografia di Gianni Rodari in funzione della sua opera e viceversa, arrivando a comporre un quadro esaustivo della sua estetica, della sua poetica e, se vogliamo, della sua filosofia. Con una selezione di piacevoli filastrocche e stralci di dichiarazioni rodariane che ci consentono una lettura completa senza dover “saltabeccare” da un libro a un altro per rinfrescarci la memoria. La memoria di quanto scriveva bene. Di quanto pensava bene.