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Giocare col fuoco

Giocare col fuoco

Seconda Guerra Mondiale. Inverno 1943. L’Italia, schierata dalla parte sbagliata, ripetutamente umiliata dagli eserciti nemici, capitombolata sulle rovinose scelte del regime, vive lo scandalo dei bombardamenti aerei, la disgrazia della guerra civile, fratricida, e l’allucinata frammentazione del territorio in più parti; ciò che rimane del regime fascista amministra faticosamente il settentrione, confidando in un improbabile rovescio della sorte. In questo contesto, c’è chi pensa a distrarre la cittadinanza, estremamente sofferente per via dei ripetuti e spesso quotidiani bombardamenti Alleati; serve dare al popolo un segno di normalità e forse di speranza, ripristinando un campionato di calcio. Un campionato differente, perché metà della nazione sta sotto amministrazione Alleata; ci si dovrà limitare a poche squadre, si dovrà consentire ai calciatori di giocare per le squadre “più vicine alla loro attuale residenza” (ed ecco che il piemontese Silvio Piola, campione della Lazio, si ritroverà in maglia granata, al servizio del Torino: un Torino addirittura “supervisionato” dalla FIAT...), servirà studiare un meccanismo di eliminatorie, tramite gironi, e via dicendo. Un campionato differente e tuttavia un campionato “più vero che si può”, magari con ospiti di lusso: come mister Pozzo, già due volte campione del mondo con la nazionale italiana, che si ritrova ad allenare i granata. A La Spezia lo stadio Picco è inagibile, “pareva un mutilato di guerra, con la tribuna coperta in parte crollata e franata sul campo”; la zona dell’Arsenale è piena di case e magazzini distrutti; e tuttavia, nella Caserma dei Vigili del Fuoco, a Pegazzano, nascerà un sogno di resistenza pallonara. Già, sarà là, tra i Vigili, che finiranno arruolati i calciatori dello Spezia, per evitare loro ogni pericolo di rastrellamento. Questi calciatori sapranno scrivere una pagina di storia del calcio “fantasma”, e tuttavia di lancinante tenerezza...

Da cosa si capisce che questo romanzo è stato scritto settantacinque anni dopo la Seconda Guerra Mondiale? Presto detto: nessuno scrittore italiano ha descritto con tanta insistenza e tanta puntualità i bombardamenti aerei Alleati, sia nell’immediato dopoguerra, sia nelle due generazioni successive; si trattava, nelle patrie lettere, di un aspetto trattato quando con evanescenza, quando con retrogusto onirico- fantasmatico (ad esempio cfr. Il ragazzo morto e le comete di Parise), quando appena accennato, quando soltanto appuntato, magari con approccio da cronista (come nel basilare Viaggio in Italia di Piovene): quello dei bombardamenti Alleati era un aspetto regolarmente, metodicamente rimosso. Qualche saggio apparso negli ultimi anni (mi riferisco, per intenderci, almeno a un testo irrinunciabile come I bombardamenti aerei sull’Italia, a cura di N. Labanca, pubblicato dal Mulino circa dieci anni fa) ha cercato di spiegare le ragioni di questa incresciosa rimozione di massa, riferendo contemporaneamente con sinistra lucidità e tetra esattezza strategia e tattiche e vezzi di questi bombardamenti aerei. C’è parecchio di “indicibile” dietro questa dinamica; indagando le ragioni, naturalmente, a volte si sconfina nell’opportunismo politico, altre volte nella collettiva “vergogna per la sconfitta”. Adesso siamo distanti tre generazioni: certe ferite stanno smettendo di essere tabù. Poco a poco, in diverse opere letterarie si parla con sempre meno imbarazzo delle terrificanti ferite dei bombardamenti aerei Alleati. Ed ecco che uno scrittore di sport come Ballestracci può puntinare la narrazione della storia dell’antieroica squadra di calcio dei Vigili del Fuoco di La Spezia che vinse un “campionato fantasma” con tutta una serie di riferimenti a ciò che capitava in quel periodo non soltanto là in Liguria, in Piemonte o in Emilia. Badate bene: ciò accade senza che ci siano particolari rinunce alla retorica resistenziale; l’artista è estremamente e inequivocabilmente democratico. Mi sono soffermato su questo aspetto perché, soprattutto nelle prime duecento pagine, mi è capitato più di una volta di pensare che Ballestracci stava insistendo “troppo” con le annotazioni sui bombardamenti aerei. Servivano alla narrazione? Pacifico. Servivano ad aumentare il senso di irrealtà e di assurdità per tanti dei fatti narrati. Forse servivano anche per tenere viva la memoria di qualcosa che invece non va proprio dimenticato, territorio per territorio. Da che parti siamo con questo romanzo? Siamo dalle parti delle buone operazioni storico-documentaristiche, poggiate su una discreta scrittura, ripetuti e fitti dialoghi, discrete descrizioni; siamo dalle parti di quei libri che possono diventare “canovacci” per qualche adattamento televisivo (ho pensato subito a una serie tv su questi calciatori spezzini che fecero l’impresa). Non so se si può chiamare “calcio romantico” quello descritto in questo testo: è talmente triste e anzi tragico lo sfondo, talmente oscena la quotidianità della morte che si respira a ogni passo, che si fatica a pensare che, in qualche strano e sconcertante modo, si sia addirittura riusciti a giocare a calcio. Come ha scritto M. Grilli sul “Corriere dello Sport”, questa è “quasi una favola a lieto fine”: quasi, già. Qualche cenno sull’artista, prima di congedarci. Marco Ballestracci, classe 1962, originario di Neuchatel ma di padre lunigiano, è scrittore, speaker radiofonico (Radio Popolare Network), cantante e armonicista blues; in più collabora con diversi quotidiani, dal “Giornale di Vicenza” al “Corriere del Ticino”. Come narratore ha esordito per il Foglio di Gordiano Lupi, nel 2005, con una raccolta di racconti, Il compagno di viaggio. Nel tempo si è affermato come scrittore di storie sportive; ha alle spalle due Selezione Bancarella Sport, 2009 (per A pedate, Mattioli 1885) e 2013 (per La storia balorda, Instar Libri). Nella prefazione, Ballestracci racconta di aver vissuto parte dell’infanzia a La Spezia. Questo libro, spiega, è “pieno di storie che mi erano state raccontate da ragazzo e descrive gli umori dei miei nonni paterni, dei miei zii e cugini”. In appendice, invece, si possono apprezzare gli antefatti storici della vicenda.