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Gioia mia

Gioia mia

Il nonno l’ha chiamata Terramia, quella terra che fioriva sotto le sue dita e rendeva frutti così spettacolari, che gli riempivano l’animo al solo guardarli. Ripeteva sempre che, se si rispetta e le si vuole bene, come a una femmina, la terrà te ne sarà grata per sempre e ti restituirà dieci volte ciò che tu le hai dato. Ecco cosa continuava a dire, come un ritornello, alla nipote, quella bambinetta smilza, tutta occhi e lentiggini, che pendeva dalle sue labbra: guardava, ascoltava e imparava. Quando il nonno è stato costretto a vendere la terra, per pagare un grosso debito, si è rifiutato di tornare a calpestarla. Ora che non è più sua, non può neppure avvicinarsi. Il dolore al petto è troppo intenso e la morte lo coglie così, con la dignità in faccia e una ferita nel cuore. La bambina con le trecce e le lentiggini, nel frattempo, è cresciuta e si è fatta donna. Luisa per oltre trent’anni ha evitato la tenuta, così ricca di ricordi dolorosi. Si limita a guardarla da lontano, dalla finestra di casa sua: i resti della masseria, il bagolaro alla cui ombra ha giocato da bambina, l’angolo in ombra in cui il nonno sedeva intrecciando canestri. Guarda Terramia e avverte desiderio e struggimento insieme. Piange quando il marito Carmine le regala quell’appezzamento di terreno: all’immediata gioia di tornare a essere proprietaria di ciò che già le apparteneva un tempo si aggiunge uno sgomento indicibile. Terramia e la magia del nonno sono scomparsi per sempre. Cosa può farsene lei di quattro pietre perse? Carmine quel regalo l’ha pagato due soldi, perché il posto non vale nulla. Solo il panorama è davvero meraviglioso: l’Etna in lontananza, a sinistra; la piana di Catania più a destra, poi la costa saracena e Augusta e infine la Scala Greca, la propaggine più a nord di Siracusa...

Da sempre Tea Ranno è romanziera della sicilianità. E la scelta dell’autrice - di origine, ovviamente, siciliana, ma da oltre vent’anni residente a Roma - si ritrova nello stile di cui si serve, nelle scelte tanto sintattiche quanto lessicali, nella concretezza e nella ricchezza della prosa utilizzata, piuttosto controcorrente in una contemporaneità in cui a dominare sono un’asciuttezza di fondo e un evidente minimalismo. Denaro, ricchezza, potere, desiderio di emergere e di distinguersi sono i temi intorno a cui ruota l’intreccio del romanzo. O meglio, sono i must a cui sono legati i protagonisti della storia. Viceversa, le figure secondarie, si rifanno a valori e a priorità ben diversi: il rispetto, la lealtà, la sorellanza, l’amore. La narrazione è impregnata dal tema tipico del verismo verghiano del soddisfacimento personale, ottenuto attraverso il possesso di quella “roba” che diventa motore dell’intera vicenda. Luisa Russo deve tutto ciò che è diventata agli insegnamenti del nonno e alla sua masseria, quella “Terramia” in cui ha trascorso l’infanzia e di cui - ora che è adulta, moglie di Carmine e madre - torna in possesso. Si tratta di un fazzoletto di terra che ha una fierezza e una potenzialità tutte femminili: è “una castidda” e, nonostante versi in uno stato di abbandono pietoso, mostra le proprie potenzialità a una Luisa carica di determinazione e desiderio di riportare la terra al suo antico splendore. La sua decisione, moderna e fuori luoghi per certe mentalità retrograde e sessiste, stride con il volere di alcune figure che fanno parte della sua vita - il marito Carmine, “femminaro” ed egoista in primis - e utilizzeranno ogni mezzo, lecito e illecito, per ostacolare il suo progetto di rinnovamento. La fedeltà delle amiche - che la sostengono e la proteggono nel momento in cui Luisa è debole e indifesa -, le bassezze di un marito gretto e superficiale, le voci e i pettegolezzi del paese, l’avidità, la poesia, l’amore spassionato sono i sentimenti che la vita e le decisioni della protagonista mettono in luce, evidenziando una realtà in cui, nonostante si viva immersi in tempi moderni, tutto ciò che può essere utile arriva dal passato. La “castidda” diventa il luogo del ricordo e della rinascita, il simbolo di un passato spensierato dal quale attingere per affrontare una nuova quotidianità, più consapevole e più matura. Una prosa musicale e lirica, che si contrappone alla concretezza di alcune scene legate a personaggi volgari e negativi; una scelta linguistica coraggiosa ma vincente; una prosa ricca e arricchente garantiscono una lettura accattivante e godibile, una di quelle che lascia il segno e nella quale si desidera, di tanto in tanto, tornare a immergersi.