Salta al contenuto principale

Giorni neri

giornineri

È l’aprile del 1943. La Seconda Guerra Mondiale sta vivendo la sua ultima parte, ma di certo questi sono i suoi ultimi due anni più difficili. Sulla strada due uomini si stanno spostando con un carro pieno di masserizie, trainato da un cavallo forte e robusto. Il barrocciaio è steso sopra il carico, il proprietario del carico, Nando, lo segue. Quest’ultimo è un uomo di mare, i mari li ha solcati tutti in trent’anni, viene dalla Versilia. Ha una moglie, Brigida, che aspetta lui e le masserizie che potrebbero servirle a San Martino nella Freddana. La coppia ha due figli, uno morto durante l’epidemia di “spagnola”, l’altro emigrato nell’America del Sud. Nando ha lasciato la sua casa come ordinato dal Comando tedesco, che ha dato a tutti tre giorni di tempo per andarsene. Lungo il percorso, verso amene località di montagna, nelle soste del cammino, viene sommerso dalle domande del barrocciaio, Venanzio di Viareggio, un figlio con l’esercito italiano in Russia. Vuole sapere se è peggio la guerra sul mare o sulla terra. Nando risponde che le guerre sono tutte brutte, ma gli spiega anche quali sono le situazioni peggiori, racconta le sue esperienze, le paure vissute. Incontrano altri sfollati lungo il cammino, tutti cercano cibo, ma anche le poche botteghe non ne hanno per sfamare ognuno. Quella che stanno seguendo è “una stradaccia”: si incrociano continuamente mezzi nazisti e, come se non bastasse, in tutta la Val Freddana sono disseminate squadre di partigiani. Le "scaramucce" sono all’ordine del giorno e, come si sa, per ogni nazista ucciso, viene presa tanta gente in ostaggio. Giunto a destinazione, Nando deve fare i conti con l’ozio forzato che non era proprio da lui. È così che decide di aiutare il contadino lì vicino che tutti chiamano affettuosamente “Frustino”, in cambio di qualche patata, un po’ di carbone o della legna da ardere...

Tra la tanta letteratura sulla Seconda Guerra Mondiale, Giorni neri – uscito per la prima volta nel 1969 - ha il pregio di avere un punto di vista “poco frequentato”: quello degli sfollati, molti dei quali vanno a infoltire le file dei partigiani. E sono proprio il punto di vista, le sensazioni, le emozioni che colpiscono. Lasciano le proprie case, i propri cari, i propri pochi averi per uno spiraglio di salvezza altrove, ammassati in case altrui, dove regna la fame e dove la paura non manca mai di far saltare dal letto, o magari anche di commettere atti ingiusti, come segnalazioni, dicerie, denunce, in cambio di promesse non mantenute. C’è tutta la fragilità di un’umanità sofferente, che anche solo per “andare a fare la legna” per scaldarsi e/o cucinare, può rischiare la possibilità di fare brutti incontri, di essere presi per ciò che non si è, di subire angherie da parte dei tedeschi, ma anche dei partigiani, i quali saltano fuori all’improvviso da qualsiasi anfratto, sia esso un angolo di bosco o anche un cespuglio. E neanche in chiesa è possibile stare tranquilli, anzi, i sacerdoti sono i primi sospettati, perché per la veste che portano sono i primi a tendere la mano, senza guardare in faccia a nessuno, accogliendo sovversivi e gente impaurita, partigiani e soldati feriti. Pure le bombe degli Alleati finiscono per cadere dove non devono. Insomma, per gli sfollati è un migrare continuo, sempre più leggeri perché la fame ha tolto parecchi chili di dosso a tutti e ha dimezzato i fardelli, ma ha messo ancora più disperazione nelle menti per quei figli sempre più gracili e più spenti, senza considerare quelli che si pensano in pericolo al fronte. Interessante l’intreccio di personaggi che anche se diversissimi tra loro hanno dato un peso specifico all’intero romanzo: Nando, uomo saggio e riflessivo, “salato”, come il mare che ha solcato per anni, Frustino, tutto istinto e reazioni, come è abituato nel suo lavoro nei campi e la coraggiosa Delta, la partigiana, con le capacità, la generosità e la disponibilità che hanno solo le donne. E forse, un po’ in ognuno di questi tre caratteri, si ritrova l’autore, ottimo pittore e sfollato da Viareggio anch’egli, tra il ’43 e il ’45.