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Giuliano Pavone e la sestultima partita di Erasmo Iacovone

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Interviste a scrittori tifosi di calcio per parlare soltanto di calcio: dello stadio, della fede, dei giocatori preferiti, delle nemesi, delle figurine...e di tanti vecchi sogni: questa è la nostra rubrica “Caffè Sport”. Tarantino di nascita, milanese d’adozione, un quarto di sangue napoletano nelle vene. Giuliano Pavone, classe ’70, non è tipo da vivere la passione calcistica solo nel privato ma ha pensato bene di trasferirla su carta firmando nientemeno che il suo esordio narrativo. Quel L’eroe dei due mari che prese a essere recensito e discusso prima ancora che il libro incontrasse un editore. Lì un plurimiliardario e pluridecorato campionissimo dell’Inter decide grazie a un voto di andare in Serie B per giocare – ça va sans dire – proprio nel Taranto. A Mangialibri parla per la prima volta apertamente della sua contemporanea passione per il Taranto e per il Napoli.




A che età la prima cotta calcistica col Taranto? È stato colpo di fulmine o hai avuto prima altre infatuazioni?
Non ricordo un momento preciso. Per me il tifo per il Taranto è sempre stato un dato di fatto, una specie di dotazione di serie di cui sono equipaggiato fin dalla nascita. Piuttosto, il colpo di fulmine l’ho avuto per il Napoli, intorno ai sette anni, per motivi di pura simpatia epidermica (le ascendenze familiari c’entravano poco). E qui la cosa si fa delicata: questa mia doppia passione non è certo un mistero (ho fra l’altro dedicato libri a entrambe le squadre) ma ho sempre evitato di sbandierarla troppo perché per qualcuno il “doppiofedismo” (il neologismo ha sempre valenza dispregiativa) è peccato mortale. Io però non mi sento un adultero. I due amori hanno pari intensità ma nature diverse. Diciamo che il Taranto è come la mamma: qualunque cosa ti riservi la vita, resta il legame più profondo, la tua origine. Il Napoli invece è la moglie: anima gemella incontrata e scelta, matrimonio che non contempla divorzio.

Che tipo di tifoso eri e sei? Ultrà da stadio o moderato sostenitore da “Tutto il calcio minuto per minuto”?
Ritengo scorretta la coesistenza dei termini “tifoso” e “moderato” nella stessa domanda. La fruizione delle squadre del cuore, che avvenga allo stadio (preferibilmente in curva) o a distanza, è per me sempre all’insegna della massima sofferenza e di un coinvolgimento direi patologico. Piuttosto, la questione dei modi di fruizione mi ha aiutato a chiarire ulteriormente la differenza fra i rapporti che intrattengo con le mie due squadre. Col tempo, ho capito che il Taranto è per me la squadra “sociale”, da seguire con gli amici allo stadio ogni volta che è possibile (anche se poi la seguo anche in tv, in radio e in tutti gli altri modi consentiti dalla tecnologia), mentre il Napoli è la squadra “da divano”, da guardare in tv tendenzialmente in solitudine (ma l’ho vista tante volte anche allo stadio).

Il tuo primo ricordo legato al calcio e il tuo primo stadio?
31 dicembre 1977, Stadio Salinella di Taranto, Curva Nord. Campionato di Serie B: Taranto-Ascoli. Fu una sconfitta (tanto per mettere subito le cose in chiaro…), ma contro il grande Ascoli che dominò quella stagione venendo promosso in A e restandovi poi per lunghi anni. Anche il Taranto era forte, probabilmente il Taranto più forte della storia, e lottava per la promozione. In quel Taranto giocava Erasmo Iacovone, centravanti dallo stacco esplosivo e dallo sguardo buono, in testa alla classifica cannonieri. Quella fu la sua sestultima partita. Poco più di un mese dopo, morì in un assurdo incidente stradale, diventando il grande, tragico mito della tifoseria rossoblù, l’unica bandiera ancora oggi ricordata e omaggiata in mille modi. Il Salinella fu ribattezzato “Erasmo Iacovone” e il Taranto a tutt’oggi non è mai andato in A.

La tua partita rossoblù memorabile?
Difficile menzionarne solo una. Cito Lanciano-Taranto, semifinale di andata dei playoff di C1, maggio 2002. Fu una sconfitta per 3-2, ma il favoloso gol con cui Galeoto accorciò le distanze al 94’ suonò come la garanzia del passaggio del turno (nella regular season avevamo vinto tutte le partite in casa). Nell’occasione sperimentai forse per la prima volta in modo compiuto quella che chiamo estasi da dopo-gol, cioè quel blackout che ti colpisce per qualche secondo durante un’esultanza particolarmente intensa, da cui ti risvegli venti gradoni più in basso, circondato da sconosciuti, senza ricordare come hai fatto ad arrivare fin lì.

Conservi qualche cimelio del tuo passato (o presente) da tifoso?
Diversi, per entrambe le squadre. Del Napoli, fra gli altri, una maglia di Mertens usata in gara, regalatami dall’amico Renato Camaggio per aver contribuito alla realizzazione dell’autobiografia di Salvatore Carmando (!). Del Taranto, soprattutto una ricca collezione di biglietti di playoff persi.

Dicci del Pibe de oro. Cosa ha rappresentato per te? Sei riuscito a vederlo giocare dal vivo? E del Pibe di Candela Maiellaro che ci dici?
Naturalmente il Pibe è il Pibe, anche se tengo a precisare che il mio tifo per il Napoli risale ad anni prima, in periodi difficili per la squadra azzurra. La prima volta che vidi giocare Maradona dal vivo coincise con la prima volta che andai a Napoli, la prima volta che misi piede nel San Paolo e… la prima volta che il Napoli vinse uno scudetto! Era il 10 maggio 1987, avevo 16 anni e fu una giornata di felicità assoluta. A proposito di “doppiofedismo”, ricordo che con mio fratello (juventino, ma mi accompagnò per non perdersi l’evento storico) esplodemmo in una grande esultanza, fra lo stupore degli astanti, quando sul tabellone elettronico che da lì a poco avrebbe mostrato la scritta “Napoli campione d’Italia 1986-87” apparve la notizia del 2-1 del Taranto a Catania. Dopo un girone d’andata pessimo, quel Taranto in B fece una volata finale da record, acciuffando la salvezza in extremis dopo le leggendarie partite di spareggio contro Lazio e Campobasso, giocate proprio in un San Paolo fresco di scudetto. Sì, il 1986-87 è stato decisamente l’anno migliore per le mie due squadre del cuore… Qui arriviamo anche al Pibe di Candela, quel Pietro Maiellaro che proprio quell’anno, insieme a Totò De Vitis (cresciuto nel Napoli) costituì una delle coppie d’attacco più forti e spettacolari che i tarantini abbiano mai visto. L’anno successivo, siccome come ogni tifoso rossoblù sa bene ogni eventuale gioia viene presto scacciata da un dolore più grande, Maiellaro venne venduto, ma non a una squadra qualsiasi, bensì agli odiati “cugini” del Bari. Una beffa che mi forgiò, aiutandomi molti anni dopo ad affrontare la cessione di Higuain dal Napoli alla Juventus.

Pur essendo l’Italia un paese di commissari tecnici e scrittori, sono pochi ‒ se ci pensi ‒ i romanzi sul calcio. Tu invece hai deciso di esordire proprio con una storia “pallonara”. Come mai?
Non è stata una scelta troppo ragionata ma la naturale conseguenza delle mie passioni e dei miei interessi. Avevo parecchie cose da dire su Taranto e su Milano, le due città in cui ho vissuto, e su certi aspetti del mondo della comunicazione, che è quello di cui mi occupo per lavoro, e mi è venuto spontaneo usare il calcio, grande amplificatore di vizi e virtù, per tenere tutto insieme in una sola storia. Ho la pretesa, forse eccessiva, di definirmi una specie di pioniere, perché nel 2010, quando fu pubblicato L’eroe dei due mari, i romanzi sul calcio erano ancora più rari che adesso e scontavano il pregiudizio – poi sfatato da qualche buon successo editoriale – di vendere poco perché gli appassionati di calcio sono ignoranti.

Ci racconti cos'è stata l’iniziativa “RespiriAmo Taranto”? È vero che era stata in qualche modo anticipata proprio nel tuo romanzo?
A Taranto si è creata una specie di saldatura fra un certo modo di sostenere la squadra e la difesa della salute e dell’ambiente nel tristemente noto caso Ilva. Nel 2012, pochi mesi prima delle ordinanze di sequestro dell’impianto siderurgico, il Taranto lottava per la promozione in B ma navigava finanziariamente in cattive acque. Un club di tifosi lanciò l’idea di una “sponsorizzazione popolare”: una raccolta fondi per fare in modo che sulle maglie rossoblù apparisse lo slogan “RespiriAmo Taranto”, che riassumeva l’amore per la città e la preoccupazione per i veleni dell’Ilva. Tutto era pronto perché la nuova maglia esordisse, proprio nel big match a Terni, quando la Lega Calcio tornò sui suoi passi negando l’autorizzazione, evidentemente preoccupata dall’“eccesso di democrazia” di cui quel gesto era portatore o persuasa dalla telefonata di qualche “papavero”. La retromarcia si trasformò in autogol perché dell’iniziativa si finì per parlare ancora di più: ne scrisse persino Gianni Mura su “la Repubblica” e sui balconi di Taranto e di altre città si moltiplicarono gli striscioni “RespiriAmo Taranto”. In L’eroe dei due mari avevo immaginato che Cristaldi, il campione brasiliano del Taranto, mostrasse sotto la casacca una maglia con la foto delle bare di tre operai dell’Ilva morti in un incidente sul lavoro, e invitasse tutti i tarantini a esporre sui balconi dei drappi neri per protestare contro la carenza di sicurezza della fabbrica e contro l’inquinamento. Non rivendico però alcuna capacità profetica: mi sono limitato a fiutare qualcosa che evidentemente era già nell’aria da qualche anno. Comunque mi diverte molto questo scambio fra fantasia e realtà, che poi completai qualche mese dopo quando, nella versione a fumetti de L’eroe dei due mari, sostituii i drappi neri e la maglia con le bare con le scritte “RespiriAmo Taranto”.

Fantacalcio: Taranto-Napoli finale di Champions. Pavone in tribuna con la maglia del?
Fantacalcio molto spinto. Mi è capitato due volte di vedere Taranto e Napoli affrontarsi. In entrambi i casi ho tifato per il Taranto ma con la segreta speranza che il Napoli non facesse brutta figura. A ciascuna di queste due partite è legato un aneddoto. Taranto-Napoli di Coppa Italia sul campo neutro di Lecce: vincono gli ospiti un po’ a fatica con gol di De Napoli. Maradona aveva marcato visita. Alla fine, il padre di un mio amico, conoscendo la mia passione per il Napoli mi dice con fare solenne: “Con questa squadra non andrete da nessuna parte”. Mai profezia fu più miope: stava per iniziare la stagione 1986-87. Qualche anno dopo le due metà del mio cuore calcistico s’incontrano allo Iacovone per un’amichevole. Primo tempo senza sussulti. Nella ripresa il Taranto si impone di misura contro un Napoli troppo brutto per essere vero. Il giorno dopo i giornali svelano l’arcano: rientrati nello spogliatoio per l’intervallo, gli azzurri avevano constatato la scomparsa di portafogli, orologi e altri oggetti di valore…

Sei costretto a venire allo stadio con me: vieni a tifare la Juve o il Bari?
Una prospettiva insostenibile, non solo per le squadre ma anche per la compagnia! La partita del Bari potrebbe essere divertente solo per questioni linguistiche: magari porterei anche mia moglie Lucia Ingrosso, cui il vernacolo barese scatena un’allegria irrefrenabile. Ma credo che tutto sommato opterei per la Juve: quando la guardo sperando che perda, finisce sempre per vincere. Quindi sì, sono al tuo fianco inneggiando ai colori bianconeri!

I LIBRI DI GIULIANO PAVONE