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Gli anni della polvere

Gli anni della polvere

2015. È un caldissimo luglio, a Colonia. Tom Monderath si prepara alla conduzione del telegiornale. A qualche chilometro di distanza sua madre Greta, 84 anni, è davanti alla tv per seguirlo come sempre, con un tè alla menta e qualche tartina. Si chiede perché lo chiamino Tom, il suo Thomas. Non ricorda quando è stata l’ultima volta che l’ha visto: eppure abita a soli nove chilometri da lì, in pieno centro di Colonia. E non la chiama mai nemmeno al telefono. Così lo fa lei. E parla, parla, parla, finché non riescono a dirle che ha sbagliato numero. È così che Greta prende e sale in macchina, incurante del violento temporale che sta per scatenarsi e che già si preannuncia con tuoni e fulmini. Il traffico a un certo punto è bloccato: ambulanze e un’autopompa passano a tutta velocità, mentre la pioggia scende a scrosci. Alcune auto la sorpassano, ma Greta è indecisa sul da farsi, finché poi le segue, sfruttando le luci posteriori di quelle che la precedono per riuscire a vedere qualcosa. Imbocca l’autostrada, ma procede in seconda a sessanta chilometri orari. Altre auto le suonano il clacson, addirittura un camion le si affianca, ma lei procede in questo modo imperterrita, con le mani strette al volante e una paura folle di invadere le altre corsie. Dopo quattro ore è la polizia a trovarla: è ferma sulla strada con il serbatoio vuoto. All’agente che le si avvicina al finestrino chiede di essere riportata a casa. È in evidente stato confusionale. Chiede dei nonni, poi dice di avere una figlia e poi, finalmente, indica quel figlio che lavora in tv. Viene così accompagnata in ospedale. “Demenza senile”, sospetta il primario, dott. Wirth, che a Tom dice della polizia che ha trovato Greta di prima mattina a duecentocinquanta chilometri da Colonia. Incredulo Tom gli risponde di aver pranzato con lei appena una settimana prima ed era lucidissima...

Due storie corrono parallele in questo esordio narrativo di Susanne Abel: da una parte Tom Monderath, uomo famoso e apparentemente inarrivabile, che deve fare i conti con la demenza senile della madre e dall’altra tutta la difficile esperienza della donna durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il figlio si ritrova quasi con una persona che non conosce, con una storia che non conosce, in tutta la sua drammaticità. Alla fine si rimane davvero immersi in queste atmosfere e da una parte non si vede l’ora di leggere tutte le novità nelle ricerche e nella vita di Tom, dall’altra succede la stessa cosa con i ricordi di Greta. E se ne vuole sapere sempre di più, con il cuore che batte forte, perché la storia è davvero bellissima e ben congegnata. Insomma era proprio da tanto tempo che non scendeva una lacrima per l’epilogo di un libro e la Abel c’è riuscita! Di sicuro ha giocato a suo favore la sua carriera di autrice e regista, dopo la laurea alla German Film and Television Academy di Berlino e una capacità di imbastire storie acquisita per formazione. Molte le ricerche richieste dal testo e molte le situazioni prese in prestito dalla realtà, a cominciare dalle associazioni che si sono occupate, nel periodo post-bellico, di bambini meticci, per far sì che non soffrissero delle discriminazioni e delle violenze nella Germania post-nazismo che aveva comunque ancora ben radicato il concetto hitleriano di razza ariana. Bellissima la figura di Greta, donna forte e caparbia, che ha lottato tutta una vita per amore, finché ha poi sepolto la sua storia in fondo al cuore, ma solo esteriormente. E bella la figura del figlio, solo apparentemente anaffettivo e invece capace di grandi slanci, che si mette sulle tracce del passato di sua madre e lo ricostruisce.