
Kragsheim è un paese nella Germania del Sud, sviluppato su tre livelli e dalla vegetazione quasi mediterranea. La città vecchia è sul dorso della collina, lì ci sono, sotto i portici, i negozi, il mercato e le botteghe degli artigiani. Tra queste c’è quella di Mathias Effinger, l’orologiaio. Lui è un vero artista, ogni pezzo che esce dalle sue mani è perfetto e mal si adatta al commercio all’ingrosso. È il 1878, l’Imperatore e Bismark sono passati in paese per la gioia di tutti. Mathias è felicemente sposato con Minna e il loro matrimonio è benedetto dalla nascita di sei figli. Benno, il più grande, vive e lavora a Londra, la Germania gli va stretta e lo preoccupa. È stato lungimirante, farà carriera, alla Banca d’Inghilterra prima e in politica poi. Karl e Paul non vogliono fare gli orologiai, la loro idea è di andare a Berlino, occuparsi di motori a gas e aprire una fabbrica di automobili. Sono giovani e vogliono osare, scegliendo la loro strada. Se Paul - austero, meticoloso e gran lavoratore - si impegna al massimo, Karl è più affascinato dalla bella vita berlinese e dagli agi. A Berlino vive la famiglia del banchiere Markus Goldschmidt. Suo figlio Ludwig lavora con lui, come Emmanuel Oppner, marito di sua figlia Selma. L’altro figlio Waldemar è un brillante giurista, illuminista di idee, grande collezionista d’arte, che mai ha rinunciato alla sua fede ebraica, pena l’allontanamento dalla docenza universitaria. La vita scorre tranquilla nella villa di Tiergartenstrasse dove Selma ed Emmanuel vivono con i loro figli: Annette, Theodor, Klarchen e Sofie. Lussi, feste, teatro, balli, the pomeridiani scandiscono la loro esistenza. Le nubi della crisi economica post-bellica e l’intolleranza verso gli ebrei sobillata dai nazionalsocialisti arriverà, inevitabilmente. Per mandare avanti un’azienda c’è bisogno di soldi e parecchi, Paul Effinger quindi chiede appuntamento alla banca Goldschmidt, sarà da questo momento che i destini di queste due famiglie ebree si legheranno, per affari e matrimoni...
“Un romanzo berlinese in cui moltissima gente è ebrea” diceva Gabriele Tergit, al secolo Elise Hirschmann, del suo libro. Gli Effinger, pubblicato in Germania nel 1951. È una saga familiare che segue i successi, le cadute, i matrimoni, di due famiglie ebree, i Goldschmidt e gli Effinger, che si sentivano prima di tutto famiglie tedesche. L’arco narrativo va dal 1878 al 1948, settant’anni di storia, con due guerre mondiali, la Rivoluzione russa, la riforma monetaria, gli anni di Weimar e un crescendo finale. Sullo sfondo c’è la città di Berlino, crocevia di destini e opportunità. Fino a quando l’avvento di Hitler sospenderà le vite degli Effinger, fatte di ritualità mondana, riviste alla moda e salotti culturali. I personaggi smettono di essere padroni del loro destino, con l’antisemitismo che da minaccia remota si fa cupa certezza. Il perduto mondo ebraico berlinese è quello della scrittrice, figlia di Siegrid, patriottico imprenditore nel comparto auto, la cui fabbrica sarà espropriata dai nazisti. Nel 1933 la Tergit fugge dalla Germania per trovare riparo in Cecoslovacchia, poi in Palestina e infine a Londra. Belle sono le pagine del libro in cui Erwin e Lotte visitano la figlia Susi nel Kibbutz: sono importanti questi dialoghi per capire le posizioni contrastanti dei sionisti e degli ebrei assimilati. Il romanzo sembra non avere pregiudizi ideologici, si parla di proletariato e si cita Marx, ma mai la fabbrica di auto degli Effinger è motivo di scontro tra classe operaia e imprenditore. Per Paul la ricchezza e il benessere generati dal lavoro acquistano un valore religioso, l’etica ebraica esige dall’uomo una grande autodisciplina, che lui non abbandonerà mai. Anche davanti al giudice istruttore nazista che gli contesta, in malafede, di non aver tutelato l'interesse della ditta, per poi espropriargliela, Paul Effinger risponderà con rassegnata amarezza: “È vero, le ho solo votato la mia vita”. Gli Oppner sono talmente attaccati alla loro esistenza borghese, fatta di apparenza, che l’anziana Selma si rifiuta di affittare la grande casa, ha ancora bisogno di saloni per ricevere. Non vuole vedere la rovina della famiglia decretata dal nazismo e la banca dei Goldschmidt costretta a fallire. Non vuole rendersi conto della catastrofe che sta per abbattersi su di loro, l’avvio della persecuzione antisemita. Vale la pena citare e riflettere sulle parole di Theodoro Herzl, lette da Waldemar a pag. 464: “Che cos’è una bandiera? Un’asta con un brandello di stoffa? Nossignore, una bandiera è più di questo. Con una bandiera si conducono gli uomini dove si vuole, persino nella Terra promessa. Per una bandiera essi vivono e muoiono. È l’unica cosa per cui sono pronti a morire in massa, se li si educa a questo”.