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Gli incompiuti

Gli incompiuti

La giornata dell’ispettrice capo Elżbieta Budzioł comincia con una telefonata. L’ispettrice è una donna alquanto comune e dozzinale: capelli chiari, tinti, legati in una semplice coda; trucco marcato e rossetto acceso; jeans e maglioni acquistati presumibilmente al mercato. Davanti a sé c’è una tazza di caffè con l’impronta rossa delle sue labbra, mentre una sigaretta pende tra le sue labbra. Oltre la finestra, il mattino si sta risvegliando e il collega che la deve sostituire – sta per concludere il turno di notte e lo fa sempre ben volentieri – è in ritardo. Elżbieta sta pensando alle parole che dovrà utilizzare per rimproverarlo, non perché le dia fastidio attendere tranquilla e sola in ufficio, ma semplicemente perché così ci si aspetta da lei e dal ruolo che ricopre. L’ispettrice capo Budzioł sta finendo il caffè quando squilla il telefono. La donna tende la mano e subito la ritira. Potrebbe fregarsene, fingere di essere in bagno e avere quindi una scusa per non aver sentito la suoneria. Anche perché in quel posto, remoto e dimenticato anche da Dio, cosa potrebbe mai succedere di grave? Poi, però, il senso del dovere ha il sopravvento e Elżbieta solleva la cornetta. Aggrotta la fronte mentre ascolta; il suo viso cambia espressione e intanto chiede al suo interlocutore se si tratti di uno scherzo. Dall’altra parte, solo un click in risposta. Intanto si sono fatte le sette del mattino e Łukasz è arrivato a darle il cambio. Ma lei non può certo lasciare l’intera faccenda così: insieme si dirigono verso una casa. Lì, in una cucina bianca, li attendono due corpi anch’essi bianchi: uno vivo e uno morto. C’è sangue ovunque, è caldo e rosso. L’ispettore si accovaccia. La stanza in cui si trova il corpo senza vita di Agnieszka è piccola e ha pareti ricoperte di scaffali stracolmi di documenti. Sulla scrivania c’è un vecchio computer e l’aria sa di fumo e di lana bagnata...

Un omicidio c’è, eccome, nell’ultimo romanzo dell’autrice Anna Kańtoch: classe 1976, ha studiato lingua e letteratura araba presso l’Università di Cracovia ed è a oggi considerata una delle scrittrici più interessanti della letteratura polacca contemporanea. E c’è anche un’ispettrice capo chiamata a individuare il colpevole. Ma c’è molto di più. C’è, innanzi tutto, una penna che sa utilizzare con maestria gli strumenti narrativi del genere e sa presentare, servendosi di uno stile insieme scorrevole e ricco, personaggi ben caratterizzati, capaci di uscire dalla pagina e stuzzicare l’interesse del lettore. C’è, inoltre, una narrazione che, volutamente e sapientemente, richiama il titolo del romanzo e si muove, come se fosse incompiuta, appunto, su se stessa, creando un vero e proprio gioco di rimandi che pare svolgersi all’interno di un intricato labirinto, dal quale è difficilissimo uscire. I dettagli cambiano continuamente, deviando di conseguenza il corso dell’indagine dell’ispettrice Elżbieta Budzioł e, di conseguenza, il corso della narrazione. La ricerca dell’autore del presunto omicidio diventa quindi espediente per permettere all’autrice di sperimentare, proseguendo un lavoro già iniziato con il precedente romanzo – Buio – e di liberarsi dai limiti spesso imposti dal genere d’appartenenza del testo che si è deciso di scrivere. Una voce interessante per una vicenda in cui dominano una certa ambiguità unita alla consapevolezza dell’incompiutezza di ciascun individuo; una lettura capace di indagare con puntuale lucidità i lati più oscuri della personalità, identità di genere inclusa.