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Gli occhi della notte

Gli occhi della notte

Milano. Novembre. Il vicequestore Giulia Ferro è inchiodata in quel boschetto ai margini del parco Nord. Tutt’intorno, il buio della notte viene spezzato solo dalle luci rosse intermittenti. A terra una scarpa. Rosa. Piccola, con la stringa bianca slacciata. Attaccato alla scarpa c’è il resto del corpo, ma Giulia non riesce a guardare. Perché quel corpo appartiene a una bambina di sette anni. Cinzia è, era il suo nome, La piccola era scomparsa da due giorni. Quando un figlio sparisce, i genitori pregano di ritrovarlo, in qualunque stato, in qualunque modo. O, se non altro, pregano che venga loro concessa una bara su cui piangere. Ecco, ai genitori di Cinzia è stata esaudita quest’ultima preghiera. Il cadavere è stato ritrovato e ora la Ferro è lì, accanto al corpo senza vita della piccola, incapace di muoversi. Anche l’ispettore capo Alfio Russo fatica ad andarsene. Se ne sta immobile davanti a Giulia, le mani nelle tasche del giubbotto e la solita sciarpa rossa annodata intorno al collo. Vicequestore e ispettore capo in questo momento hanno un unico obiettivo: capire come il corpo di una bambina sia arrivato in quel punto. Chi può averglielo portato e cosa può essere accaduto. Il corpo di Cinzia è stato ritrovato da una coppia di coniugi che era a passeggio da quelle parti con il cane. L’animale ha cominciato ad abbaiare come un matto e si è buttato giù dalla scarpata. Marito e moglie lo hanno chiamato e richiamato ma nulla. Il cane – che è in genere davvero obbediente – non ne voleva sapere di spostarsi da quel punto. Allora i due si sono infilati sotto ad alcuni rami, si sono addentrati in quella specie di boschetto e l’hanno trovato che raspava intorno a una valigia di tela, dalla quale spuntava una scarpa. A Ferro e a Russo si è affiancata pure Fiammetta Alessandri, caposquadra della Divisione scientifica. Una professionista, che Giulia stima moltissimo. Peccato che Russo e la Alessandri si detestino e non perdano occasione per rimarcare la reciproca antipatia...

Un’indagine faticosa, complessa, piena di punti oscuri e di vicoli ciechi. Il nuovo romanzo di Marina Visentin – novarese d’origine e milanese d’adozione – si apre sul capoluogo lombardo di fine autunno, dominato dal buio e da un mistero fitto, dai risvolti drammatici. Giulia Ferro e Alfio Russo, rispettivamente vicequestore e ispettore capo, devono far luce sulla morte di una bambina di sette anni, ritrovata cadavere in un boschetto, dopo essere scomparsa all’uscita da scuola. Una morte agghiacciante quindi, perpetrata in un ambiente inquietante, che la penna dell’autrice descrive in maniera davvero interessante. False piste da un lato e liste di sospettati tra cui potrebbe nascondersi l’assassino dall’altro sono gli argini entro cui i due funzionari di Polizia si muovono, cercando di districarsi tra tensioni familiari, bugie e non detti. Si tratta di un percorso difficile, segnato da parecchi dubbi, tentativi ed errori, qualche battuta d’arresto. E, ad aggiungere benzina sul fuoco, ci sono i ricordi di un passato con cui fare i conti, un passato che pesa sulle spalle di Giulia Ferro come un macigno. Ferite che si riaprono e situazioni irrisolte che richiedono di essere chiuse una volta per tutte, così da permettere di focalizzare l’attenzione solo sulla ricerca della verità. Un thriller sapientemente congegnato; un intreccio in cui ogni tassello combacia perfettamente con quelli che lo precedono o lo seguono; una scrittura capace di delineare con precisione, seppure servendosi di veloci pennellate, i tratti psicologici dei protagonisti; una vicenda in cui tensione e ritmo si mantengono costanti dalla prima all’ultima pagina.