
Viola sente una specie di ronzio, di soffio di vento, sulla sua pelle. È come se percepisse fisicamente il silenzio con il tatto, più che con le orecchie. È un silenzio insopportabile, che sembra un rumore. Si passa una mano sul viso e sospira. Sara le è accanto - non si è accorta di lei finché la donna, invisibile come solo lei sa essere, non ha parlato - e la invita ad andare a casa a riposare. Ma no, Viola non può e non vuole allontanarsi; sente che il suo posto è lì, in ospedale, accanto al figlio, il piccolo Massimiliano che la donna veglia incessantemente da quattro giorni. Anche Sara è rimasta quasi tutto il tempo accanto a loro. C’è qualcosa di magico nel modo di esserci di quella donna dai capelli grigi che è anche la nonna del suo bambino. Sara pare intuire perfettamente quando Viola sente il bisogno di parlare e quando invece ha la necessità di tacere o di alzarsi e fare due passi. Capisce anche quando la madre del piccolo ha una disperata voglia di spaccare tutto, incluso il flacone che, goccia a goccia, instilla medicine inutili nelle vene di suo figlio. Sì, perché Massimiliano è condannato: un tumore aggressivo e subdolo - dieci centimetri per sei in un bimbo di dodici chili e ottantaquattro centimetri - non gli lascia scampo. Operare è impossibile e i medici hanno già ribadito alla madre che non vi è alcuna speranza di sopravvivenza. E allora Viola vuole sapere da Sara, che già ci è passata, cosa si provi a perdere un figlio e a vederlo morto, dopo averlo messo al mondo. Ma Sara non ci sta, forse non tutto è perduto, forse si può ancora fare qualcosa, perché lei, da sempre abituata a leggere e a decifrare senza indecisione il linguaggio non verbale, è certa di aver visto una piccola ombra, un lieve tentennamento nello sguardo della dottoressa Elisabetta Castellini, il medico che ha in cura il piccolo Massi. Forse si tratta solo di un’illusione, ma Sara ha comunque notato un’incertezza, un dubbio ed è assolutamente determinata a scoprire di cosa si tratti, fosse l’ultimo segreto da scoprire...
Sara Morozzi, la cinquantacinquenne ex agente dei servizi Segreti, minuta e dallo sguardo penetrante frutto della fervida fantasia di Maurizio de Giovanni - scrittore napoletano che non ha alcun bisogno di presentazioni - si arricchisce, nel quarto romanzo che la vede protagonista, di nuovi particolari e di nuove sfumature, che le consentono di occupare una posizione di tutto rispetto accanto alle altre figure uscite dalla penna del prolifico autore partenopeo (l’ispettore Lojacono e il commissario Ricciardi, solo per citarne due). Sara ha un dono: mentre riesce senza difficoltà alcuna a rendersi invisibile e a passare inosservata sempre e comunque, è in grado di comprendere verità taciute o segreti riposti tra le pieghe più profonde dell’anima, semplicemente osservando le persone che sono di fronte a lei. Uno sguardo, un battito di ciglia o un fremito non hanno segreti per la Morozzi e le raccontano l’universo più intimo di ogni persona. Ma in questa nuova avventura Sara è costretta a guardare qualcosa che fa molto male. La vita del nipote, il piccolo Massimiliano - che porta il nome del grande amore della sua vita e, per questo, le è ancora più caro - è appesa a un filo e l’unica speranza di salvarlo, forse, è legata ad un passato che Sara non avrebbe mai voluto ricordare; un passato che parla di uno sguardo indimenticabile che ha rischiato di sconvolgere ogni equilibrio posandosi su di lei, la donna invisibile, e osservandola. Due occhi che riemergono da un periodo ormai sepolto e parlano di tradimenti, attentati, segreti e dolore. Due occhi che la riportano al 1990 in una Napoli in cui fervono i preparativi per la visita del pontefice e i movimenti studenteschi esplodono con il rischio di trasformare i giovani contestatori in pericolosi terroristi. Due occhi che raccontano di un profondo dolore e che nascondono la più grave delle accuse. Assieme a Sara, che deve tentare in ogni modo di spiegare le sue scelte del passato per riscrivere un futuro che il destino pare già aver condannato, si muovono i personaggi di sempre, ciascuno dei quali racconta qualcosa in più di sé: Viola, fragile e forte insieme, scopre finalmente di essere una madre; l’ispettore Pardo, non nasconde più il proprio affetto per quella sgangherata famiglia nella quale è entrato suo malgrado a far parte; Andrea e Teresa, colleghi di un passato che non c’è più, si confermano presenze costanti capaci di ignorare il modus operandi che ha accompagnato ogni loro azione per votarsi completamente alla causa, apparentemente disperata, della Morozzi. In un continuo confronto tra presente e passato, De Giovanni offre al lettore l’ennesima vicenda potente, ricca di sensibilità e profonda umanità; l’ennesima storia bellissima, che continua a tornare alla mente in tutta la sua forza anche a lettura terminata.