
Lei entra in libreria. Lui la osserva. I polpacci affusolati, le braccia magre, l’andatura timida ma fiera, quasi felina. Il grande cappello di paglia e gli occhiali da sole anche al chiuso. Un vezzo ma anche una difesa. Lui lo sa, la conosce forse come nessun altro, osserva la sua giovinezza e se ne disseta. Poi via il cappello e finalmente gli occhi nocciola che incontrano i suoi, lei sa che lui ha quello che sta cercando. La casa che ha preso in affitto con il suo compagno genera qualche perplessità nell’uomo. Non capisce questo cambio di programma, le chiede il motivo di quella sosta imprevista proprio in quell’appartamento. Lei glielo spiega, con pazienza ma anche leggera irritazione. Quello è il posto giusto per scrivere, è il suo luogo. Di quel posto sente di avere bisogno. E poi c’è il mare a due passi, cosa si può desiderare di meglio. Infatti la mattina dopo lei si sveglia presto, il compagno ancora dorme. Lui li osserva nella calda luce del mattino, vede la donna scendere in spiaggia da sola e dopo che lui l’ha raggiunta tornare di nuovo sola in casa. Ha necessità di quella solitudine, di quell’atmosfera. Il ragazzo un po’ a malincuore ha abbozzato. Ora lei è di nuovo tra quelle mura fresche, in penombra, mentre l’esplosione di suoni e colori dell’estate fa da contorno al suo stato d’animo in fermento, un misto di eccitazione e inquietudine. Lui lo avverte, la può quasi toccare con mano quella sensibilità, l’ha vista prendere il quaderno e riversare quelle prime sensazioni su carta, una matita tra le labbra, il viso serioso, una ciocca di capelli ambrati spostata dietro l’orecchio. Quello è anche il suo luogo, lui non sa ancora cosa labbia portata li. Forse un dolore, forse un ricordo, un distacco, un senso d’incompiutezza. Ancora non lo può sapere con certezza. Quello che però sa è che lei vuole che lui gliela racconti quella terra, gliela faccia vivere, gliela faccia sentire sulla pelle, le faccia vedere quelle coste frastagliate, quei muri a secco bianchi, le faccia sentire il profumo degli arbusti di rosmarino, di finocchietto selvatico, di quei pini contorti schiacciati dal vento, le mostri quegli scorpioni che le si agitano nel petto - il suo compagno ancora in spiaggia senza di lei, lontano - e nel suo ventre così traboccante e avido di vita…
Terza opera di narrativa per il tarantino Giuliano Pavone che questa volta vira di 360 gradi rispetto al suo precedente – pur sempre ottimo – stile narrativo, spiazzando e sorprendendo positivamente i suoi lettori. Dopo la fiction spassosa, scanzonata e a tratti esilarante dei primi due romanzi, qui Pavone mette in scena un delicato, poetico e intimo acquerello che è un inno alla scrittura, alla femminilità e alla sensibilità degli artisti. La giovane scrittrice protagonista del romanzo ‘spiata’ e raccontata da un misterioso sguardo che ce la mostra in soggettiva durante tutta la sua breve permanenza al Sud – un Sud magico, vivido, capace di accarezzare tutti e cinque i sensi non solo della protagonista ma anche del lettore – alle prese con la travagliata gestazione creativa del suo romanzo che in realtà poco alla volta si fa anche catarsi del suo vivere privato e quotidiano, rimescolando priorità, scelte e obiettivi della sua stessa esistenza. Pavone ha la grazia giusta nell’accarezzare le pagine posizionando la macchina da presa sempre un po’ defilata rispetto alla scena principale, permettendoci di spiare quasi da dietro le quinte la leggerezza contrapposta via via all’irrequietezza e inquietudine che si mescola alla luce arancione, ai sapori, ai colori di quel paesaggio che tutto travolge, (ri)genera, mescola e strappa. Un viaggio misterioso e intenso. Un meraviglioso, malinconico e seducente ultimo tango al Sud.