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Gomerosol - La città che non c’era

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Un nuovo assalto da parte dei ribelli a una carovana di passaggio convince il generale Martinelli a organizzare una spedizione militare alla ricerca della leggendaria città di Gomerosol, nella quale si dice che i rivoltosi trovino protezione. In effetti la regione è vasta, priva di confini ben definiti e il forte, costruito a baluardo e difesa delle strade, è solo un puntino all’orizzonte che gli abitanti dei villaggi limitrofi mal sopportano, sperando possa però dare loro sicurezza. L’esistenza di questa misteriosa città non è certa, ma viene nominata nei numerosi racconti dei viandanti che si incrociano per le strade e che i soldati interrogano. Tuttavia, il generale Martinelli è convinto si trovi oltre un lago segnato sulle mappe e, radunato un esercito e viveri per tre settimane, parte per distruggere Gomerosol. Ma la ricerca si rivela da subito infruttuosa e complessa e gli incontri delle carovane raccontano ogni volta di un luogo e una città sempre diversi... È un pomeriggio torrido come tanti, in uno dei piccoli paesi del centroamerica. Alla garitta di un doganiere annoiato si presenta un corriere. L’ispezione al pacco viene fatta più per vincere il tedio che per vera attenzione. Ma la sorpresa del funzionario è grande quando, aprendo la confezione che contiene degli ovetti di cioccolata, si ritrova tra le mani un piccolo gladiatore in miniatura. Un soldatino che si muove come fosse un essere vivente. Decide quindi di sequestrarlo per regalarlo poi al figlio, che di certo rimarrà stupito. Dall’altra parte del mondo, in una fabbrica cinese che produce ovetti di cioccolata, alcuni operai cominciano a scomparire misteriosamente nel nulla. La notizia venie subito messa a tacere e gli stipendi, per evitare che le voci escano dalla fabbrica, vengono raddoppiati. Intanto, nel piccolo paese del centroamerica un’altra famiglia è riuscita a procurarsi un ovetto di cioccolata e un piccolo gladiatore. Un giorno, due bambini si ritrovano così a giocare e i due soldatini a combattere dentro una minuscola arena costruita apposta. Ma se il gioco è finzione, lo scontro è reale…

Nella prefazione, Stefano D’Angelo ci introduce a una possibile interpretazione dei racconti immaginati da Lorenzo Pompeo, slavista e traduttore, che vengono riassunti e raccolti in quello che l’autore della prefazione chiama “Teorema delle città”, ovvero il compendio delle diverse descrizioni della misteriosa città di Gomerosol raccolte dalle leggende orali dei viandanti. I luoghi narrati sono talmente diversi tra loro che non sembrano corrispondere all’oggetto della ricerca, forse perché le voci tradotte dall’interprete sono passate poi attraverso gli appunti dello stenografo e da quelli alla penna dello scrivano. La misteriosa città pare avere vita propria e muoversi nello spazio e nel tempo, così come il minuscolo gladiatore che ricorda un Mosè in miniatura con tanto di tavole della legge. Racconti spiazzanti ma non in positivo, la cui morale, se si scopre, va ricercata tra le righe. Storie che sono anche non-storie, per tornare alla prefazione di Stefano D’Angelo. Così infatti appaiono i resoconti dei viandanti che, come fossero racconti a sé, somigliano a trame abbozzate di novelle appena immaginate e mai veramente risolte nemmeno dall’autore stesso. Ma se questo fosse il compito affidato al lettore, cioè quello di accettare di partire per un viaggio e una scoperta così come il generale Martinelli, senza una bussola, con poche vettovaglie, non si può però accettare che la missione venga fatta con armi spuntate o non funzionanti. Tanti, troppi, sono i refusi e le contraddizioni presenti nei vari testi, che tagliano le gambe e sorprendono negativamente anche il più volenteroso dei viaggiatori. Fa eccezione solo il racconto finale, dal titolo Gli ultimi giorni del sottotenente Malfatti, già comparso nella raccolta La parola magica uscita nel 2020 per Progetto Cultura. Segno di una mancata cura durante l’editing di un testo che non sembra quasi essere stato riletto prima della stampa. Si inciampa, ci si interrompe, ci si domanda se siano trabocchetti architettati ad arte, ma alla fine si capisce che no, sono solo disattenzioni e superficialità che trasformano la strada in una mulattiera piena di buchi e frane.