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Graffi di vita

graffidivita

“Sono quella che / trova nella scrittura / la forza / per liberarsi dal disagio”: questa poesia brevissima tratta dalla prima delle tre parti in cui è suddivisa la raccolta (Riflettere, nello specifico) immette direttamente nell’atmosfera che qui regna. Poesie come confessione, come liberazione da qualche fantasma, da qualche scheletro che insiste nell’animo della poeta, utilizzando la sensibilità, a volte maledetta, e il veicolo da questa prediletto, la parola, per rispondere “Forse basterà la punta di una penna” alla domanda “Ma come uscirne? / Come ritrovare l’aria? / L’ossigeno?”. Nella parte seguente, Amare, il pensiero non è più ripiegato su sé stessa, ma si rivolge a un “tu” per il quale piange “gocce di cielo / vomitando / illusioni” che poi però si riassorbono in un “Ti guardo / riscopro la pace”; un Altro che sembra offrire lo stesso rimedio (o placebo?) della lingua (Poi mi abbracci / mi baci sul collo / mi sorridi sulla bocca / e tutto è un groviglio di colori / e tutto è un nuovo arcobaleno”). La parte conclusiva è titolata Sperare e consiste di poesie in cui si rincorrono speranza e desiderio: “Nonostante la pioggia / continuo a ballare / nel mio mondo / convinta / che sopra tanta acqua / ci sia anche / quello spicchio / di sole” e “Vorrei / vorrei tutto / vorrei tutto ora / vorrei tutto ora pienamente / vorrei tutto ora pienamente davvero / senza limite”, ne sono solo due esempi…

Chiara Famooss Paolini, romana, è alla sua seconda pubblicazione. Presenta poesie semplici, costruite con un linguaggio chiaro che però, se da un lato forniscono il piacere di una lettura comprensibile, dall’altro sono rese povere, poco “poetiche”, spesso più vicine ad aforismi che a testi poetici dalla mancanza di figure retoriche. Cito: “Le scuse / non arrivano / nel momento che vogliamo. / Arrivano in ritardo / quando non ne abbiamo più bisogno. / Quando abbiamo imparato / a cavarcela da soli”: niente figure retoriche, appunto, nessuna scelta lessicale originale. Ora, poniamo il caso che a un poeta e a un non poeta passi per la mente lo stesso pensiero: il primo lo trasferirà in poesia, con tutto il necessario perché sia effettivamente una poesia (codice retorico, scelte lessicali particolari ecc), il secondo lo renderà palese col linguaggio diciamo quotidiano, banale, non potendo andare oltre perché privo della sensibilità poetica. Orbene, se in una raccolta poetica mi trovo di fronte a molte scelte lessicali banali, a versi che non presentano nemmeno una metafora, a belle frasi che non sono altro che belle frasi, fatico a vederci poesia. In qualche occasione le poesie sono poesie con alcuni crismi che le possono rendere tali, ma sono troppo pochi i picchi (non eccezionali ma che alzano almeno un po’ il livello). Non mi aspetto che ogni raccolta di poesie che esce sia un capolavoro, ma almeno se il genere è poesia che lo sia effettivamente, sempre, in ogni pagina, non random.