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Grande nave che affonda

Grande nave che affonda

I Romano, del borgo di Torricella appena fuori Roma, sono una sorta di famiglia allargata e nella loro casa, da quando il figlio ventenne Taddeo è entrato a Rebibbia, c’è un continuo viavai di amici e parenti che si fermano per i pasti e che Camillo e sua moglie Viviana ritrovano ogni tanto in giro per le stanze. Una strana atmosfera invade la casa, forse complice il caldo asfissiante che ingolfa l’aria e i respiri, in quest’estate torrida come non si vedeva da tanto. Un tempo fermo, di attesa, che fa fare strani pensieri e tenere strani comportamenti. Viviana fa lunghe camminate notturne, mentre Aurora, sorella di Taddeo, si chiude in camera in compagnia di un gatto e la televisione. Camillo invece ritrova un vecchio amico scomparso da tempo. Il suo fantasma gli aleggia attorno per chiacchierare come una volta. Il nonno Settimo si è preso un cane da caccia e aspetta. Tutti aspettano qualcosa, in realtà, e non solo il ritorno di Taddeo. Ma è soprattutto il suo amico Diego ad essere il più inquieto di tutti. Dopo l’arresto di Taddeo si è stabilito in casa dei Romano, come un nuovo figlio che sta cercando qualcosa, forse proprio i confini di una vita che ancora non ha compreso. Intanto il caldo continua a soffocare, Roma avanza mangiandosi i confini che la separano da Torricella e i prati spariscono. Ogni tanto qualcuno va a trovare Taddeo, mentre Diego gli parla al telefono e intanto cerca di capirci qualcosa anche riguardo ad Antonella, che entra ed esce dalla sua vita. L’autunno è qualcosa che arriva all’improvviso e soprattutto portato da una pioggia violenta e incessante, tagliata dai fulmini che sfiorano la gente. La pioggia uccide il caldo ma non l’attesa di qualcosa che deve ancora succedere...

L’attesa, tema cardine del romanzo, non è qualcosa di statico. Il tempo sospeso consuma, è come un mare dentro al quale una nave affonda lentamente ma inesorabilmente. Così chi aspetta Taddeo sembra fare la stessa fine e annaspare nel caldo fino a immergersi dentro un’attesa liquida. Torricella aspetta e intanto Roma se la mangia, cancellando quello che era il passato del borgo e i ricordi dei suoi abitanti. Il romanzo d’esordio di Andrea Cappuccini, nato a Roma nel 1991, si immerge completamente nell’atmosfera densa e calda che trasuda dalle sue pagine. I dialoghi quasi assenti, mescolati all’interno dei paragrafi, suonano di una lingua particolare, peculiare e autentica voluta dall’autore per dare voce reale ai personaggi che la parlano. Un esordio letterario per il quale si immagina una precisa volontà di raccontare degli uomini nel loro animo perturbato come il cielo, più che le loro trame. Siamo, in effetti, fatti di materia ma spinta dai sentimenti e dalle emozioni. Raccontare il motore significa fare un percorso di ricerca delle meccaniche che ci compongono e per farlo non occorrono colpi di scena o grandi stravolgimenti. Al lettore basterà seguire la trama quotidiana per scoprire ciò che sta sotto uno strato di pelle. Certo, è un percorso impegnativo e ci vuole più pazienza e più concentrazione, ma la letteratura è soprattutto questo: spogliarsi anche della pelle quando fa troppo caldo e affondare le mani nel fango quando piove forte.