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Gugulandia

Gugulandia
Se in principio fosse davvero stato il verbo, allora avrebbe suonato più o meno così: “Gu!”. È con questa sillaba e con una selva di altri suoni gutturali in perfetto Paleolitico style che i sette primitivi abitanti di Gugulandia comunicano tra loro, intrattenendo le prime relazioni sociali: chi sono costoro? Ecco il Re e la stabilità della sua corona (che più che cingere opprime un'intelligenza già poco corposa), lo Stregone che detiene la sacra torcia della sapienza: in lui si mescolano con fascino tribale scienza e magia come solo all'inizio era possibile; e ancora l'Artista, pipa accesa sempre in bocca, non si sa bene perché “simbolo della sua sensibilità”, il Guerriero digrignante, lancia alla mano e ottusità a braccetto, il piccolo Piranha e la fame che gli ha dato il soprannome e la sempre desiderabile Guga, superhot nonostante i dentoni da castoro. Poi lui, l'uomo comune, il Gugu, per il quale il mondo è, o dovrebbe essere, plasmato ad immagine e somiglianza. Nemici mortali i Placatanes, orda di mammiferi feroci dalle forme e taglie più disparate, incazzati – paradossalmente – come bisce e pronti a rovesciare anche il precario equilibrio della microscopica comunità. Tuttavia, il vero nemico potrebbe nascondersi all'interno...
Capolavoro cubano del secolo scorso, Gugulandia di Hernán Henriquez è considerato praticamente all'unanimità opera satirica tra le più sagaci che la movimentata isola abbia prodotto in seno prima, al di fuori poi (Henriquez emigrerà con difficoltà negli USA), al regime comunista di Fidel Castro. Pubblicata sulla stampa ufficiale tra il 1964 e il 1980 la striscia fu un grandissimo successo e garantì la pagnotta al suo autore anche dopo la fuga dalla terra natale. La semplicità della struttura e la forma prescelta (inizialmente la striscia e in seguito la pagina autoconclusiva) per raccontare questa atipica cosmogonia che, proprio nello svelare la creazione dei tipi, delle gerarchie del potere, degli usi e dei costumi delle umane genti, si pose l'obiettivo di analizzarne gli effetti ultimi (per la serie sulle fronde ci dovrà pur essere qualcosa delle radici), rese Gugulandia un congegno satirico perfetto, attraverso il quale, nonostante l'incombenza della censura, riuscire a veicolare i messaggi e le opinioni più in controtendenza, sapientemente occultati dalle proprietà degli stereotipi. Un fantoccio che incarna in sé un'idea, per definizione lontanissimo dalla concezione comune di personaggio finzionale e totalmente fuori dal rischio di empatia con il lettore, è più libero di dire, di ardire e di instillare dubbi o anche solo fruttuose riflessioni. Risulterà comunque insospettabile: un pupazzetto d'inchiostro che ad un uomo vero – di cui, si sa, i regimi hanno gran paura – non assomiglia neanche un po'. Ecco, quindi, che il Re diviene spesso espressione di un potere autoritario ed ottuso, elastico come il proverbiale ciocco di legno, lo Stregone a volte machiavellico visir al servizio dell'ideologia ipocrita dietro a cui si assiepa il profitto, altre luminare difensore della libertà e della circolazione della libera coscienza e conoscenza; il Guerriero, quando non grugnisce, permette l'analisi della più noiosa delle fenomenologie (quella della violenza, continuamente uguale a se stessa nei presupposti quanto negli esiti), il Gugu e la Guga sono l'occasione per gettare un occhio al sempre problematico incontro-scontro tra i sessi. A tutti, nei migliori siparietti corali, è invece affidato il compito di commentare la situazione storico-politica e, in rari casi, anche la cronaca cubana. E i Placatanes? Quelle belvacce fameliche che dovrebbero essere la vera minaccia del vivere quotidiano? Per le temibili fiere solo qualche comparsata: troppo poco anche per azzardare una metafora spiccia ed inconcludente. O forse non fanno poi tutta questa paura in confronto al fatto che anche quando nel mondo si era in sette e si parlava con una sola sillaba (“Gu!”), già (meglio di “ancora”) non ci si capiva. Dio benedica l'evoluzione.