
Livia si nutre solo di biscotti: fa delle torrette da tre e poi piano piano li mangia, masticando quindici o comunque un numero dispari di volte, così il suo cuore rallenta e lei si tranquillizza. Marco, suo marito, da tempo la evita: torna quando lei dorme e si alza quando è già uscita; lui sempre più magro e curato, lei sempre più grassa e trascurata. Livia risponde ormai solo alla voce di Corpo che le dice di riempirsi di biscotti e di trasformarsi in grasso, “in questa materia viscida” in grado di proteggerla da sé stessa e dal mondo fuori. Il cibo infatti la aiuta a colmare un vuoto così profondo proprio perché ha origini lontane, nella sensazione di esclusione vissuta da Livia da bambina, quando si sentiva un’estranea venuta al mondo a turbare l’idillio tra sua madre e suo padre. Livia allora mente a sé stessa e agli altri, pur di avere un po’ di attenzioni da qualcuno. A Roma, dove si è trasferita da Pescara per gli studi universitari, incontra Marco, un ragazzo serio e pacato che la incoraggia a concludere la tesi, in un momento per lei difficile: è infatti appena tornata da Ibiza dove ha trascorso un’estate travolgente che l’ha segnata profondamente. Lui risponde al suo bisogno di sicurezza e stabilità e, pur di averlo accanto, gli giura di condividere i suoi stessi desideri e ambizioni, tra cui la volontà di non avere figli, accettando “di stare insieme per disertare, per lasciare il fronte, per non stancarci e non rischiare niente”. Ma proprio quando sente di essere amata, Livia si chiude in sé stessa e si allontana, convinta di non meritare quell’amore e di non essere degna dell’affetto di nessuno. Quando il suo matrimonio finisce, Livia precipita in un baratro di sofferenza che sembra non avere un fondo, fino a quando comprende che per far smettere Corpo di comandarla, deve tornare indietro nel tempo e nello spazio, alle origini di un rapporto interrotto tanto tempo prima…
Maura Chiulli è un personaggio veramente eclettico: a capo di un’agenzia assicurativa, è anche scrittrice e mangiafuoco, si interessa di arte performativa ed è docente di scrittura autobiografica nella scuola Macondo di Pescara. Impegnata da anni nella lotta contro il pregiudizio nei confronti dell’omosessualità, è autrice del saggio Maledetti froci e maledette lesbiche, in cui attraverso alcuni fatti di cronaca riflette sul preoccupante crescendo di violenza di natura omofobica e transfobica osservato negli ultimi anni. Ho amato anche la terra è il suo terzo romanzo, dopo Dieci giorni (2013) e Nel nostro fuoco (2018). È un libro che parla dal di “dentro” della sofferenza provocata dai disturbi alimentari: l’autrice, attraverso la narrazione in prima persona che consente sbalzi temporali tra presente e passato, lascia raccontare a Livia i suoi pensieri e le sue ossessioni, come i rituali legati al cibo da consumare o la fissazione per il numero tre, inteso forse a rievocare i tre membri della famiglia in cui da piccola si sentiva di troppo. Livia ci fa capire che chi soffre di questi disturbi sente il proprio corpo come un’autorità superiore, letteralmente capace di comandare la vittima e di obbligarla a obbedire a messaggi che scorrono sottopelle, tra cuore e stomaco. Il percorso di guarigione è quindi una discesa ad inferos, in cui è necessario affrontare i confini invisibili tra corpo e anima, svelare il mistero che lega materia e spirito e che ci consente di vivere in noi una sintesi che ci caratterizza in quanto esseri umani. Il romanzo però è anche ricco di speranza perché mostra che le tendenze autodistruttive possono essere dominate, che la sofferenza può cessare, che le ferite piano piano possono guarire: Livia, infatti, decide di tornare indietro e di riprendere un dialogo interrotto, o forse mai realmente iniziato, con i fantasmi del suo passato. Proprio grazie al coraggio di questo ritorno alle origini, scopre molto di sé stessa e si apre alla vita in un modo che non aveva mai immaginato.