
1944. L’Italia è in piena occupazione nazista, i partigiani sono rifugiati sui monti e dalla linea Gotica portano avanti la loro strenua Resistenza. È in un paesino sperduto delle alpi Apuane che Ermanno Luci fa il brigadiere nella locale stazione dei Carabinieri. Ha trentatré anni e quel mestiere ha sempre voluto farlo, se lo è sempre “sentito nelle vene”. Essere nell’Arma, fare il carabiniere. Sfortunatamente per lui quello è il periodo più buio dell’Italia novecentesca, ancora più buio di quello della Prima guerra mondiale, in cui si combatteva aspramente, certo, ma lo si faceva in trincea, lontano al nord, per respingere lo straniero. Ora invece lo straniero è in casa e detta legge. E in quel piccolo paese abbarbicato sui monti il malessere e lo scontento per quella situazione politica e militare si può quasi tagliare con il coltello. Su quei monti la gente è idealista, quando non è dichiaratamente anarchica e abituata da sempre a non piegarsi, a non farsi sottomettere mai e per nessuna ragione. Figurarsi tollerare una occupazione nazista! I posti in cui i paesani si incontrano di nascosto sono parecchi e segreti, qui il filo diretto con i partigiani che combattono nascosti sui monti è invisibile ma potentissimo, qui si decide come aiutarli e sostenerli inviando le donne del posto a rifornirli con la scusa di andare a trovare parenti nelle frazioni disseminate tra le Apuane. Ermanno lo sa, ma come gli altri carabinieri del posto fa finta di non saperlo. Intanto i nazisti naturalmente considerano i partigiani dei banditi e dei criminali, per questo quando i proprietari di Villa Bigotti - il conte e la contessa, che tutti sanno essere vicini al regime fascista - vengono trovati orrendamente assassinati, il comando delle SS locali non perde un attimo ad attribuire la colpa ai partigiani. Le indagini affidate a Ermanno Luci però sono molto più complesse di come appaiono e lo stesso brigadiere, nonostante gli inequivocabili indizi sulla scena del delitto, non appare così convinto della pista che porta alla Resistenza. Al brigadiere l’assassinio dei conti, infatti, sembra più una vendetta. Ma consumata da chi? E perché?
Esordio letterario con il botto quello del carrarese Emiliano Pianini, di professione avvocato. Una penna finissima in grado di costruire un giallo classico all’italiana come non se ne leggevano da decenni. Una narrazione in cui l’ambientazione storica rimane costantemente un pretesto per raccontare sentimenti ancestrali, rapporti di forza, alleanze di ideali, crimini inevitabili. E forse è proprio questo che rende particolare il lavoro di Pianini, questo lasciare la Storia di sottofondo e mettere in primo piano le persone, i protagonisti, le emozioni buone o cattive che li travolgono. È pur vero che le vicende si svolgono in un particolarissimo periodo storico che non viene affatto storpiato a vantaggio della fiction narrativa, ma non è questo ad appassionare il lettore. Viceversa chi legge viene colpito immediatamente dal protagonista, di cui ci si innamora fin dalle primissime pagine, del suo gesto di accarezzare la foto di famiglia, della sua giacca di ordinanza lasciata su una sedia, del suo “parteggiare” per gli abitanti del luogo in cui è finito a fare il mestiere della vita. Ermanno Luci così diventa il principale attore delle azioni e insieme, per una sorta di miracolo letterario, anche una sorta di Virgilio per tutti i lettori che attraverso di lui respirano suspense, comprensione dei fatti e conoscenza dei luoghi. La sua corsa contro il tempo per salvare vite innocenti è la cosa più toccante in una narrazione di puro genere ed è solo l’ultima delle tante motivazioni per cui consiglio davvero di leggere questo romanzo.
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