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Home boy

Home boy
AC, Jimbo e Chuck: tre giovani pachistani che vivono a New York. Inseriti nella vita sociale della grande mela come bancari, DJ e PR, i compagni si godono le feste alternativo-bohémien in una città che li asseconda e vizia. Il loro è un mondo basato sul divertimento e sull’apparenza, un sogno da vivere ogni giorno senza preoccuparsi troppo del futuro. La bolla tardoadolescenziale che non accennano a incrinare è però destinata ad esplodere. Dopo l’11 settembre cambia tutto (“I tassisti musulmani hanno appeso bandiere americane. Per quanto non credessi ai miracoli o al vudù, in quel momento avrei voluto qualsiasi cosa a cui aggrapparmi”) e i tre si accorgono per la prima volta di essere stranieri in terra straniera. Chuck perde il lavoro e si ricicla tassista grazie alle attenzioni di un connazionale. In una notte di scoramento si mettono in cerca di uno dei loro più cari amici, da mesi scomparso. Entrano nella sua casa e malauguratamente vengono sorpresi e accusati da una volante della polizia di violazione di domicilio. Anche se solo per poche ore, sperimentano cosa vuol dire passare la notte in carcere e si rendono conto della repentina e irreversibile mutazione che il loro status ha avuto agli occhi degli americani (“In prigione avevo capito che proprio come tre neri insieme fanno una gang e tre ebrei insieme un complotto, tre musulmani insieme erano diventati quella che da lì in avanti si sarebbe chiamata una cellula clandestina”)…
Il romanzo di formazione di H. M. Naqvi (rigorosamente con solo le iniziali e non col nome completo, anche sul suo sito ufficiale) è una delle più illuminanti letture post-9/11 che non risentono di sentimentalismi o di accuse di pseudo-terrorismo all’Islam. La sua lettura della catastrofe delle torri gemelle colpisce l’esistenza dei pachistani con uno shock culturale che annienta e divide, paralizzando la mente e il corpo. In questo esordio dallo stile scorrevole troviamo un pout-pourri di termini paki, piatti, odori, sensazioni di una cultura altra da quella omologata e sempre più vicina alla nostra che è quella promossa dal Moloch americano. Le descrizioni della città sparse qui e là (memorabile quella di Central Park) o il tratteggio così appassionato dei personaggi e delle macchiette che popolano il mondo di Chuck (il narratore e alter ego dell’autore), ci fanno amare da subito il trio di ‘metrostani’ che popola queste pagine. Entriamo ben presto anche noi all’interno dei negozi che vendono spezie, dei ristoranti etnici, siamo anche noi lì con la mamma del protagonista a ricevere telefonate intercontinentali e tifiamo anche noi perché a Chuck non scada il permesso di soggiorno. In una parola, Home boy colpisce dritto al cuore; come ha fatto Spike Lee ne La 25ma ora, la storia di Naqvi è un ritratto intenso e critico del gap che continua a sussistere - anche dopo quasi due lustri - fra oriente e occidente, uno stupendo inno alla decostruzione di ogni tipo di manicheismo.