
Una distesa d’acqua scintillante costellata di rocce brulle. Tutte eccetto una, sulla quale non sembra essere rimasto un solo centimetro di spazio: è così che appare Hong Kong dal finestrino di un Constellation dell’Air India a Joseph Kessel che sta per atterrare. Hong Kong è un’isola nata dal desiderio dei mercanti inglesi di assicurarsi il monopolio del commercio dell’oppio e dalla necessità di farlo attraverso il contrabbando. Il Celeste Impero considerava, infatti, l’ondata di mercanti avventurieri come “fango straniero” e cercò di relegarli su alcune isole lontane, ma, alcuni uomini intraprendenti come William Jardine, detto “Ratto testa di ferro” dai cinesi, riuscirono a sconfiggere la millenaria diffidenza e ad insediare sull’isola un vero e proprio regno che, ancora nel 1959, epoca del viaggio di Kessel, era ricco e fiorente. Kessel ne incontra l’erede in un formalissimo ufficio le cui pareti sono costellate di ritratti di famiglia e riesce a farsi raccontare alcuni degli aneddoti salienti del periodo in cui la fortuna di famiglia è stata costruita. La galleria di personaggi che popolano le due città degli estremi, come le definisce l’autore, si arricchisce anche dell’incontro tra lui e Aw Boon Haw, l’ineffabile inventore del balsamo di tigre, venticinque percento candora, dieci percento mentolo et voilà, la cura per tutti i mali o il signor Fu, padrone e signore di una delle più grandi case da gioco al mondo che ha sede a Macao, o ancora Miss Coca-Cola, il contrabbandiere di cani…
Joseph Kessel costruisce una ricchissima, colorita e variegata galleria di personaggi indimenticabili a loro modo potenti e decisivi per la storia delle due città, ma riesce magistralmente ad accerchiarli di una piccola, ininfluente e a tratti reietta umanità fatta di mendicanti, di operaie, guidatori di risciò che fanno da controcanto alla retorica del potere acquistato con ogni mezzo e con ogni mezzo conservato e tramandato; un’umanità che si trascina per le viuzze maleodoranti, tra fumerie di oppio e postriboli, tra fabbriche di fiochi d’artificio e mega case da gioco è il tratto saliente del reportage di Kessel, che ha dedicato la sua intera produzione letteraria a tenere in vita un mondo, quello dei viaggiatori e degli avventurieri, che, si intuisce molto bene dalle pagine di Hong Kong e Macao era irrimediabilmente in via di estinzione. I suoi personaggi, così come i loro costumi, i fatti storici e le vicissitudini umane che li rendono indimenticabili sia che siano insignificanti come insetti o colonne portanti dell’economia locale sono delineate con precisione documentaristica e una giusta dose di colore e folklorismo. Il suo gusto innato per l’eccentricità e l’originalità, il suo saper cogliere le peculiarità di ciascuna persona incontrata e il suo genuino rispetto per le culture orientali, oltre che il suo essere un viaggiatore attento e curioso, fanno di Kessel uno dei migliori scrittori della prima metà del ‘900, uno dei rari esemplari che hanno saputo dare veste di alta letteratura alle proprie avventure in giro per il mondo e che in Italia conosciamo solo grazie a ObarraO che ha già pubblicato il suo splendido La valle dei rubini, dedicato alla Birmania.