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Hotel Grande A

Hotel Grande A

Tenere un diario è come scrivere poesie: roba da femmine... o da uomini adulti. Kos non è una femmina né un uomo adulto, ma un ragazzo qualunque, che ama giocare a calcio, che non capisce nulla delle tre strambe sorelle e che vorrebbe avere più coraggio con le ragazze. Anzi, con una ragazza in particolare, Isabel. Se Kos tiene un diario è perché il cuoco dell’albergo gestito da suo padre gli ha prestato un vecchio registratore a cui affidare i pensieri. All’inizio sembra ridicolo, eppure in breve il tempo per raccontare basta a malapena. Tutto comincia una domenica di maggio che sembra perfetta, una giornata da grandi progetti. Suo padre si mette a montare la nuova insegna dell’albergo, un compito rimandato da quando è morta la mamma, Kos è pronto per la partita che potrebbe fargli vincere il campionato e magari qualcosa di più, come un posto nell’Ajax o nel cuore di Isabel… Ma il gol decisivo arriva assieme a un infarto che suo padre lo manda all’ospedale e Kos, Briek, Libbie e Pel si trovano a gestire nella totale inesperienza l’Hotel Grande A e tutti i suoi debiti e problemi. È davvero solo l’inizio, perché per saldare bisogna inventarsele tutte: petizioni per i bruchi, lavori in un costume da scimmia, concorsi di bellezza, rinfreschi con quel poco che è rimasto in dispensa… 

Hotel Grande A è un libro in cui non esiste l’ovvio né l’impossibile. Una serie di sfortunati eventi a cui i protagonisti rimediano con soluzioni a dir poco rocambolesche,  l’intervento di ogni più improbabile deus ex machina e le stranezze di una famiglia che fatica a rimettersi in sesto dopo la morte della mamma. Eppure, nel caleidoscopio di episodi, tutti i personaggi sono assolutamente umani e credibili e ciò che fanno, pensano e sono, pure in un contesto di totale originalità, non è poi così strano. Non è strano che una bimbetta si affezioni a un animale, anche se qui è una foca, non è strano che un gruppo di stranieri ritrovi un connazionale in un altro Paese e si adoperi per ricambiare l’ospitalità ricevuta, anche se qui è una squadra di calciatori tuvaluani e non è certo strano che un gruppo di ragazzini a cui manca la mamma e ora anche il padre si impegni in ogni modo per fronteggiare responsabilità decisamente al di sopra di ciò a cui sono preparati. Ecco perché il libro è avvincente: parla di cose che appartengono alla quotidianità dei lettori, come il volere piacere a una ragazza e non sapere come fare, ma calandole in un contesto pieno di particolari non ordinari. Sjoerd Kuyper sceglie una voce narrante maschile e una forma, quella del diario, resa ancora più inattuale – e quindi originale – dall’essere scritta sui nastri di un registratore. Sulla trascrizione del diario di Kos si innestano i commenti di Isabel: il punto di vista si incrocia, realizzando il sogno di poter leggere nella mente dell’altro. La questione delle differenze tra maschi e femmine è continuamente chiamata in causa ma, in qualche modo, disinnescata. Ragazzi, ragazze, sorelle, adolescenti, padri, tuvaluani, poeti tristi... Se cambiano le forme esteriori e gli atteggiamenti, le motivazioni e i sentimenti possono essere simili e ogni radicale differenza si rivela tutt’altro che irriducibile. Insomma, vale la pena sospendere l’incredulità di fronte a un libro in cui succede di tutto e si parla di tutto, in modo onesto e divertente.