
Peter ha quattordici anni e vive sull’isola di Finø, in Danimarca, in una “canonica che ha dodici stanze e un giardino grande come un parco” con suo padre e sua madre, la sorella maggiore Tilte – che dice sempre che non esistono problemi, ma solo sfide interessanti e ha lo strano talento di “pensare che tutti hanno ragione e allo stesso tempo di avere l’assoluta convinzione di essere, in un assortimento di persone molto ampio, l’unica a sapere di cosa sta parlando” –, il fratello maggiore Hans – che ha l’aria di un bambinone con i capelli biondi riccioluti e gli occhioni azzurri ma è alto uno e novanta e ha una forza impressionante, una sorta di cavaliere senza macchia e senza paura che “non ha ancora scoperto le donne”, cosa tanto più imbarazzante “in quanto le donne invece da un pezzo hanno scoperto lui” – i nonni, una bisnonna e un cane. Un Venerdì Santo Peter e Tilte si recano a Blågårds Plads, a Copenaghen, dove Hans – che nel frattempo studia Astrofisica all’Università – si è trovato un lavoretto, guida una carrozza antica per i turisti. I genitori dei ragazzi, lui pastore protestante nell’unica chiesa di Finø e lei organista, stanno facendo il loro viaggio annuale a La Gomera, un’isola delle Canarie, e così i ragazzi si sono concessi un pomeriggio in città. D’un tratto la tranquillità di un giorno di festa si sgretola. Squilla il cellulare di Hans: è Bodil Fisker, segretaria comunale di Grenå, il comune che comprende anche le isole di Finø, Anholt e Læsø. La sua voce trema di paura. A quanto pare il padre e la madre dei ragazzi sono scomparsi. Ma non basta. Due uomini in giacca e cravatta a bordo di una Bmw targata Corpo Diplomatico stanno attraversando Blågårds Plads diretti verso i tre ragazzi…
“Vuoi essere amico di un guardiano di elefanti? Allora assicurati di aver posto per l’elefante”, recita l’antico proverbio indiano a cui si è ispirato Peter Høeg per il titolo di questo sfrenato romanzo che somiglia a una graphic novel. Un’avventura surreale e picaresca in cui i giovani protagonisti partono da un’isola immaginaria popolata da bizzarri borghesi misantropi e attraversano situazioni una più psichedelica dell’altra a ritmo da Ridolini, con la colonna sonora incalzante dello stile di scrittura del geniale autore danese – ricchissimo di frasi eleganti, giochi di parole, fascinose metafore, dialoghi à la Beckett. Non c’è solo commedia ne I figli dei guardiani di elefanti, tuttavia: si parla di religione, terrorismo e memoria, tra l’altro. E come in tutti gli altri suoi libri Høeg sfoggia il suo talento quasi sovrannaturale nell’infondere inquietudine nel lettore, disseminando il plot di allusioni a oscuri complotti reali o immaginari, e regala qua e là magnifiche pagine di introspezione. Che relazione c’è (in media) e ci dovrebbe essere (per principio) tra la lealtà personale e la moralità? Come ci si pone (in media) e come ci si dovrebbe porre (per principio) nei confronti della propria solitudine? Quali sono esattamente i vincoli che legano (in media) e dovrebbero legare (per principio) i membri di una famiglia che sembra “la pubblicità di qualcosa di costoso ma salutare”? Come sempre e più di sempre, irresistibile.