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I film degli altri

I film degli altri

Pietro Germi, in tutti i suoi film, mostra un costante “odio verso ciò che si presenta corrotto alla morale coerente” e “una forte diffidenza verso tutto ciò che è razionale”: per lui la coincidenza tra “razionale” e “intellettualistico” è un assioma che non si discute. “Tutto deve essere affidato al sentimento, e il sentimento deve posare sulle reazioni di una morale normale e corrente”… C’è ne Il Generale Della Rovere di Roberto Rossellini “qualcosa di eccessivamente vuoto, di spento, di convenzionale: nel suo antifascismo c’è qualcosa di vecchio”, ma si tratta di un “film intero e unito, e quasi tutto bello, o almeno nobile”, cosa che fa pensare che “una fase della storia italiana sia passata, e ne ricominci una nuova”… Ne L’ultima spiaggia di Stanley Kramer si descrive in fondo “la morte di chi non ha mai avuto vita: la fine di una società già finita; il passare dal non saper di essere al non essere, da un nulla ad un altro. (…) L’intera umanità muore: e la sua morte è banale. Non riesco ad immaginare nulla di più terribile”… Si dice che Alberto Sordi all’estero non abbia successo perché “non fa ridere”. Perché? Perché la sua comicità “nasce dall’attrito con la variopinta e standardizzata società moderna di un uomo il cui infantilismo anziché produrre ingenuità, candore, bontà, disponibilità, ha prodotto egoismo, vigliaccheria, opportunismo, crudeltà”…

Sono raccolte in questo volume a cura di Tullio Kezich le recensioni di film che Pier Paolo Pasolini scrisse tra 1959 e 1974 per “Reporter”, “Vie Nuove”, “Tempo Illustrato”, “Cinema Nuovo” e “Playboy”. Si tratta di brevi editoriali acuti, interessanti, colti e raffinati – e non potrebbe essere altrimenti, vista la statura intellettuale dell’autore e la sua competenza da cineasta – ma molto lontani dalla “forma-recensione” che si è venuta affermando dagli anni ’70 ad oggi. Nessuna contaminazione pop nel linguaggio e nei riferimenti, nessuna indulgenza per il commerciale, nessuna deroga all’ortodossia, alla militanza e alla necessità assoluta di un “messaggio” coerente e rigoroso che “deve” rendere sempre e comunque un film un atto politico da discutere oppure una sciocchezza senza senso che annoia o peggio sollazza le masse. Memorabili comunque alcuni giudizi deliziosamente tranchant (ad esempio Doris Day, oggi considerata icona di una garbata e fine - seppure ipocrita - Hollywood che fu, apostrofata come “una piccola borghese bruttina e non intelligente, perbene e un po’ zozzetta”) e la polemica epistolare in più puntate con Giuseppe Marotta, critico de “L’Europeo”, datata 1960.