
Milano, fine estate di un anno di inizio terzo millennio. Il cielo è tornato blu. Quella umidità rovente che ha fatto danni in campagna e tra gli umani, sembra dispersa dopo una notte di forte pioggia. È così una domenica di settembre perfetta per una corsa podistica (una di quelle tante gare in cui si pensa anche alla solidarietà). Punto di raccolta dei concorrenti e di partenza della gara è il Castello Sforzesco. Un modo come un altro, per Milano, di mostrarsi in tutto il suo splendore di città al passo con i tempi, con i suoi nuovi grattacieli verdi che sfoggiano piante di ogni genere nei quartieri di lusso e che hanno ricevuto premi e apprezzamenti. Due le gare podistiche in programma: la prima, quella più lunga, con partenza alle 9.30, l’altra, più breve, parte alle 10. È a distanza di poco dalla partenza, circa un chilometro e mezzo, quando ormai i più veloci sono leggermente distanziati, ma il grosso del gruppo si trova ancora tutto insieme, che un pick-up nero, dai vetri scuri, con il muso rivolto verso i podisti che stanno arrivando, scende sgommando dal marciapiede. Qualcuno riesce a schivarlo, insultandolo come si fa con i tanti imbecilli che non rispettano le regole della strada. Ma l’auto prosegue, anzi aumenta la velocità e punta sul gruppo, falciando molti atleti, lasciandoli sull’asfalto e mettendosi a inseguire quelli che sono ancora lì, allibiti e che non si sono dileguati per le stradine laterali, scappando per la paura. Non riesce a centrarne altri però e decide di girare a destra, verso Foro Bonaparte. Mentre esegue la manovra il vetro alla sua destra va in frantumi e un proiettile gli si infila nella carotide...
C’è solo una parola che ricorre spesso nei pensieri durante la lettura: “vero”. È tutto vero qui, pur nell’ambito dell’invenzione letteraria, e ci si ritrova a rivivere anche momenti già vissuti, pur se non nella stessa redazione, nella stessa sezione di partito o nella stessa zona d’Italia. Jacopo Tondelli ha fatto davvero un grande lavoro, in alcuni tratti anche emozionante, per quanto è realistico e plausibile. Ed è (anche) per questo che I giorni sbagliati è un romanzo intrigante, affascinante, potente e, appunto, vero. Non è necessario essere un giornalista o un politico per apprezzarne il valore, solo perché si sono condivise delle sensazioni o delle esperienze. Certo c'è spazio per guardarsi allo specchio e interrogarsi. Avere vissuto l’Italia degli ultimi trenta, quaranta anni è di sicuro ciò che serve per ritrovarsi, ma essere anche troppo giovane per ricordare è una condizione per scoprire un tratto del percorso del nostro Paese senza studiarlo sui libri di storia, ma leggendolo, trovandolo dentro un’anima, con tutte le illusioni, le speranze, le delusioni, gli scandali, la deontologia che non c’è, ma che viene raccontata pubblicamente e ad ogni occasione. Una riflessione amara sulla cosa pubblica e sull’informazione intorno alla quale Jacopo Tondelli (giornalista prima che scrittore) ha costruito il suo primo romanzo, assolutamente convincente e accattivante. E la cosa ancora più interessante, nonostante il già conosciuto, è che si continua a leggere perché se ne rimane totalmente coinvolti e non ci si stanca mai di andare avanti, intrecciati con questo spaccato di storia recente e di mondo decadente che ci troviamo a vivere ogni giorno. Si continua a leggere anche perché si vuole sapere come andrà a finire, forse sperando, inconsciamente e romanticamente, che la conclusione sia diversa da come la intuiamo, da come la sappiamo.