
La fondazione delle colonie greche di Pitecusa e Cuma si può far risalire all’ottavo secolo avanti Cristo. Il trasferimento di un gruppo umano teoricamente autosufficiente a migliaia di chilometri di distanza dalla madrepatria con un viaggio via mare è agli inizi dell’VIII secolo a.C. un’impresa assolutamente straordinaria e rappresenta un’operazione unica nel mondo antico. A parte i Greci nessun altro popolo mediterraneo osa imprese di così vaste proporzioni ed in questo senso l’impresa è realmente temeraria. Selezionati coloro che devono partire, le autorità cittadine della madrepatria con tutta probabilità mettono a disposizione dei futuri coloni tutto quanto necessario per la spedizione. Anzitutto le navi. A seguito della scoperta del relitto di una nave mercantile in Anatolia fra il 1982 e il 1987, oggi gli storici sono in grado di definire l’esatto tipo di imbarcazione utilizzata per la traversata lungo le coste occidentali. Il congedo dalla madrepatria, al momento della partenza si realizza con una cerimonia religiosa. Ai coloni viene consegnato il fuoco che arde sull’acropoli della città e un pugno della terra natia poi si issano le vele e il nocchiero comincia a governare l’imbarcazione fuori dal porto conducendola in mare aperto. La stagione propizia al viaggio è quella fra aprile e settembre, l’unica adatta per la navigazione antica. Se giunge sana e salva alle isole Ionie la spedizione fa sosta in terraferma per rifornirsi di cibo e di acqua e poi solitamente riparte per la traversata in mare aperto passando per il canale di Otranto. Superato il golfo di Taranto (colonie achee di Sibari e Crotone) la nave carica di masserizie e metalli talvolta riesce a proseguire fino allo stretto di Messina. Di là entra nel Tirreno per prendere la direzione del golfo di Napoli o per raggiungere i più lontani lidi della Corsica o della Gallia. È noto che gli antichi preferiscono navigare in vista della costa, ma non è affatto vero che non sappiano navigare in mare aperto orientandosi con il sole e le stelle. Scelgono di seguire la costa per avere il vantaggio di poter mantenere la rotta e trovare un ricovero in caso di improvviso peggioramento del tempo. La navigazione nei tempi arcaici non consente ai marinai di riposare a bordo e la mancanza all’esterno di strutture d’appoggio come fari, segnalatori di secche o di scogli, determina una grande insicurezza. Le insenature naturali o, in mancanza di queste, le foci dei fiumi che fungono da porto-canale, sono l’unico riparo per le navi in caso di pericolo…
I greci d’Occidente è un affascinante saggio storico scritto da Valerio Massimo Manfredi assieme all’accademico grecista Lorenzo Braccesi. I capitoli primo e terzo e la coordinazione dello scritto sono stati effettuati da Manfredi mentre il capitolo secondo, dal titolo I colonizzatori, è stato interamente elaborato da Braccesi. L’intero scritto ha carattere storico-saggistico ma il tono divulgativo e persuasivo del testo consente un’agevole lettura anche ai semplici appassionati di cultura magnogreca. Interessante è la “dichiarazione di intenti” che l’autore pone in premessa rivolgendosi ai lettori superficiali che identificano le città italiane d’origine greca in Napoli o Siracusa, disinteressandosi dell’origine di tantissimi centri che raggiunsero elevati livelli di civiltà grazie all’opera coloniaria di sparuti gruppi di navigatori greci. Così Taranto fu fondata dagli spartani, le cittadine di Sibari, Crotone e Metaponto da coloni provenienti dall’Acaia mentre quelle di Marsiglia e Reggio – tra le altre – dai coloni Focei. La lettura funge dunque da invito a ripensare alla cultura comune dei popoli civilizzati dagli Elleni, alla nostra civiltà – in altri termini – dotata di un patrimonio unico ed erede di singolari personalità che cambiarono il volto del mondo antico. Per oltre quattro secoli, affermano gli autori, il greco fu lingua franca nel Mediterraneo occidentale, compreso sia dagli Etruschi sia dai Fenici, popoli con i quali i nuovi venuti dall’Ellade hanno convissuto portando cultura, religione ed esperienza tecnica. In nome dei valori comuni, Manfredi osa giungere a delle considerazioni di tipo antropologico rilevando che ben presto, dopo la fondazione delle colonie, sorse una nuova civiltà diversa e più vitale di quella esistente nella madrepatria per effetto della convivenza pacifica tra indigeni e nuovi arrivati. L’auspicio è ovviamente rivolto al presente, e non riguarda soltanto la storia ma l’identità culturale di gran parte del territorio europeo ingiustamente oggi etichettato come arretrato ed immobile quando per secoli ha rappresentato il fulcro della civiltà. Così è quest’ultimo che privo di spirito partigiano, ma animato di sapere critico e indipendenza intellettuale senza remore afferma che la scelta dei Romani di assorbire la civiltà greca “anziché umiliarla e distruggerla come spesso fanno i conquistatori” fu in un certo senso preparata dai Greci d’Occidente che con la loro cultura ibrida e raffinatissima rappresentarono, città per città, la migliore riprova agli occhi del mondo della possibilità di un esperimento di convivenza pacifica tra popoli di diversa origine.