
Il 21 settembre 1915, a guerra appena iniziata, un giovane diciottenne di Bagheria arriva all’Ufficio Reclutamento di Messina, sotto una pioggia incessante. Il luogo è triste. Forse per le condizioni climatiche, forse per l’umore degli uomini che vi sono seduti in attesa di presentare al sottoufficiale la loro cartolina di chiamata alle armi. In questo scenario da pessimismo esistenziale, il giovane dallo sguardo determinato e dai tratti mediterranei viene notato quasi immediatamente dal sottoufficiale, che prima gli chiede le generalità e poi la cartolina del reclutamento. Antonio Lugarà dichiara di essere nato proprio in quel giorno, il 21 di settembre di diciotto anni prima, e di non possedere nessuna cartolina di chiamata alle armi perché si sta arruolando come volontario. Il sottoufficiale, allora, passa dall’incredulo al sospettoso. Perché un giovane minorenne decide di arrivare da Bagheria a Messina per arruolarsi volontario? Cosa nasconde? Da cosa scappa? Il colloquio tra Antonio e il sottoufficiale cattura l’attenzione di un ufficiale, il tenente Agosta, che si avvicina ai due cercando di comprendere cosa sta succedendo in quella sala di attesa di un posto triste e desolato dove nessun uomo di buon senso ambirebbe ad arrivare se non effettivamente costretto. Antonio non solo ripete al tenente quello che ha già dichiarato al sottoufficiale, ma aggiunge anche di essere arrivato a Messina affrontando un lungo viaggio di due giorni, un po’ a piedi e un po’ a cavallo, proprio per arruolarsi volontario nel Regio esercito: ma a differenza di quanto taciuto con il sottoufficiale, al tenente il giovane Antonio decide di raccontare la verità, il vero scopo che lo spinge ad arruolarsi e partire per il fronte proprio nel giorno del suo compleanno. E così facendo di metterlo a corrente di un segreto che pesa sulla sua esistenza e che forse potrebbe mettere in pericolo anche la stessa vita di Agosta, se il tenente lo dovesse rivelare ad altri…
Un buon soggetto realizzato male. L’idea di fondo del romanzo di Masetti non è affatto da buttare. C’è la Sicilia del brigantaggio, dei caporioni sfruttatori, delle amicizie e delle passioni che si intrecciano e che cercano di sopravvivere in una terra stupenda e spietata, e c’è la determinazione dell’autore ad affrontare il caleidoscopio dei sentimenti umani. Quello che manca è la “maturità” autoriale per imbastire un lavoro letterario che rimane in sospeso tra affresco storico e giallo. Gli elementi della composizione narrativa stentano ad amalgamarsi tra loro in senso compiuto e sapiente e restano ognuno come singolo focus affatto in grado di affascinare interamente chi legge. Probabilmente Masetti pensava che non andare di sottrazione avrebbe attratto e incuriosito di più il lettore, ma così non è stato perché 480 pagine nelle quali si salta da un personaggio all’altro, dall’intensità di un sentimento vissuto in giovane età a un omicidio brutale senza che ci si possa affezionare o incuriosire davvero a nessuna narrazione denota l’acerbità di un autore che ha letto tanto e che ama, evidentemente, la scrittura, ma che ancora non sa “gestirla” come arte e artigianato. Fin dalle prime pagine, infatti, chi legge ha come l’impressione che il linguaggio e lo stile di Masetti sia volontariamente “antico”, pomposo e a tratti noioso, in ogni caso troppo anacronistico per potersi adattare a quanto sta raccontando. Nelle intenzioni dell’autore probabilmente questa voleva essere una storia di un altro secolo scritta con un linguaggio non contemporaneo. Però questa scelta stilistica non solo non funziona, ma in alcune pagine risulta quasi “sbagliata”, fuori sincrono. E in alcuni dialoghi perfino ridicola. Quello che si nota leggendo è una sorta di urgenza autoriale nel raccontare non una storia, bensì questa storia. Ma questa storia, appunto, aveva bisogno di una scrittura più robusta e più affinata, magari in grado di raccontare esclusivamente l’essenziale. I migliori anni della mia vita, invece, consta a spanne di almeno duecento pagine in più, a danno di un racconto che avrebbe potuto avere un appeal migliore se sfoltito di una sottonarrazione penalizzante e superflua.