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I virus sognano gli uomini

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Primavera 2020. Italia. L’ambiguo cinquantenne Lafcadio Morriconi vuole assolutamente isolarsi dal Contagio proliferante. Dialoga a distanza con vari amici, ritrova immagini e memorie sepolte negli angoli più riposti, segue incredulo il proliferare di opinioni superficiali e radicalmente opposte, vuole fuggire e non può. Si è convinto che quella pandemia avvicina una fatale linea di confine, traguardando la quale ci si inoltrerà nell’oceano aperto del futuro, dove forse accadrà una metanoia, una trasvalutazione di tutti i valori, un cambio radicale di paradigma, se non altro in forza del capitale shock socio-economico. Rimembra letture: monsieur Proust, Thomas Pynchon, Pasolini, Siddharta, Eugene O’Neill, Verga, Arbasino, Kafka, Cormac McCarthy, già subito, così, nelle prime ore. E gli amici diventano emotivi contraltari di un presente agitato, affiatati od ostili a seconda dei momenti e dei legami: Giorgio F., Riccardo C., Fabrizio G., Silvio F., Spartaco F., soprattutto. La stessa moglie Danka Seferovich, slava di Spalato. lo esaspera: insiste a leggere i volumetti di un noto maestro di meditazione che il marito ateo disistima cospicuamente. Un inferno di quarantena, più o meno lo stesso che molti italiani hanno vissuto…

Il narratore, poeta, drammaturgo e regista Marco Palladini (Roma, 1953) pubblica tempestivamente un flusso di pensieri e commenti filosofici sull’impatto sociale della pandemia, prendendo spunto da piccoli fatti di cronaca, dialoghi ascoltati, titoli di articoli o servizi, evenienze sanitarie, drammi quotidiani, annunciate soluzioni o denunciati complotti. La narrazione è in terza fissa al passato (“quei giorni”), imperniata su un’ineludibile convinzione: grazie al lockdown, siamo proprio e finalmente entrati dentro il Nuovo Secolo, e Millennio. Tutti, sincronicamente. E nulla sarà più come prima. Il testo non è un romanzo vero e proprio, piuttosto un diario, poetico verso la fine. Non è autobiografico, piuttosto una raccolta di esperienze precedenti, forse utili ora. Non è un racconto, piuttosto le ansie in diretta di un protagonista affine, preso a pretesto. Non è un saggio, seppur colmo di citazioni, allusioni, riflessioni pretenziose e richiami letterari e culturali. L’ironia cercata non sempre è trovata. L’inquietudine esterna si riversa all’interno delle riflessioni di Lafcadio, pur talora serie, acute, opportune. Il titolo è simpatico: non siamo sicuri che i virus sognino, ma che per sopravvivere e migrare oggi qualcuno usa i sapiens, è sicuro.