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Il barista francese

Il barista francese

Gerard è un barista di origine francese, biondo e sempre sudato. Si sta affezionando a tre ragazzi che ha anche assunto come aiutanti al bar e di cui è l’unico ad aver intuito le origini. Sì, infatti ha assistito al loro arrivo, non proprio canonico, sulla Terra. Certo è più facile pensare che fosse in preda ai fumi dell’alcol e che quello che ha visto sia solo un sogno, un’allucinazione, una visione da ubriaco. In pratica ricorda un gran fischio, come quello delle navi che annunciano il proprio rientro al porto e una volta aperti gli occhi ha visto come dei moscerini che gli danzavano sul viso. Ma poi si è reso conto che non erano poi così vicini e che non erano nemmeno dei piccoli insetti, quanto dei puntini lontani che si addensavano e davano vita a delle forme. Quello che vedeva gli faceva venire in mente quella volta che, mentre stava guidando sotto un violento scroscio di pioggia, si era trovato davanti due persone che attraversavano la strada. Tutto all’improvviso. Ma quelle figure si ingrandivano, scendendo le loro immagini diventavano sempre più nitide: tre esseri che vorticavano piano in una sorta di velo fumoso. E quando le punte dei loro piedi hanno toccato terra, Gerard è svenuto, giurando a se stesso di smettere di bere. I tre lo soccorrono, lo portano a casa sua, lo curano, mentre Gerard è sempre più confuso: come sanno che abita qui? E poi tornano il giorno dopo e vanno a trovarlo anche al bar, anzi addirittura lui li assume, perché necessitano di un lavoro. Sono gentili, sembrano sapere in anticipo il desiderio di ciascuno, attirano clienti nuovi e coccolano quelli vecchi. Gerard pensa che lo stanno ripagando bene, ma non ha tempo di gioirne fino in fondo: di lì a poco il barista esplode dentro la sua auto imbottita di esplosivo...

La realtà è che più che un romanzo ci si trovi davanti a un esercizio di scrittura. A fronte di una storia quasi inesistente, l’autore dà sfoggio di un utilizzo affascinante delle parole, mostrando con orgoglio un italiano forbito e ricco, che però non supporta a dovere quello che ci si aspetta da un libro, anzi a volte innervosisce anche il lettore che continua a chiedersi: “Ok. E poi?”. Di certo, al di là della pochezza della storia, ci sono però molti spunti di riflessione, sui quali l’eloquio dotto insiste parecchio. Concetti di tempo e spazio, capacità degli umani di rovinarsi la vita e il proprio mondo solo mettendo in moto il pensiero, il valore dei ricordi e poi c’è la meraviglia del mare e la musica... In tutto questo incuriosisce la figura di un accordatore di strumenti, cieco, che sembra conoscere molto bene i tre ragazzi, alieni o angeli che siano (all’inizio danno più l’idea degli extraterrestri, ma poi parlano troppo spesso delle cose celesti e di Dio che è il loro referente), al punto da stupirli, ponendo loro delle domande specifiche del tipo: “Questi corpi umani non appesantiscono anche le vostre anime? Non è tutto assurdo su questa Terra per voi?”. Ma accanto alle domande sulla pesantezza del vivere, c’è sempre la musica, a volte dolce e suadente, a volte assassina, perché il male è sempre in agguato e sceglie modi inadeguati per esistere, dominando il pensiero di molti, alla mercé di pochi. Solo la vendetta sembra placare gli animi, ma sorprendentemente lo fa anche con quelli degli angeli.